sabato 29 settembre 2007

LO STAGETTO PRIMA O POI TOCCA A TUTTI

Il titolo di questo post, lo confesso, non è mio. E' una frase irresistibile trovata sul blog di Roberta Martinelli, alias la "stakastagista": «Uno stagetto prima o poi tocca a tutti».
La prendo in prestito per una precisazione: io non penso che lo stage sia il male assoluto. Lo stage può avere, se usato con criterio, alcuni pregi: può traghettare noi giovani nel mondo del lavoro, offrendoci un'altra prospettiva rispetto a quella dell'università. Può essere l'occasione per metterci in mostra, dimostrare al capo le nostre capacità e convincerlo ad assumerci. Può essere anche l'occasione, di converso, per "assaggiare" un certo ambito lavorativo e scoprire che non fa al caso nostro, che nella vita vogliamo fare altro.
Il problema è che negli ultimi 4-5 anni lo stage in Italia è stato utilizzato in maniera completamente scriteriata. Così anche il suo principale obiettivo, quello di mettere in contatto aziende e giovani per poi
concretizzare un'opportunità di lavoro vera (ergo adeguatamente retribuita), si è perso nel magma. Oggi lo stage serve praticamente solo a fornire manodopera a basso costo al mondo dell'imprenditoria.
Vedo troppi giovani valenti che regalano la loro forza lavoro negli stage. Presi uno per uno, non ci sarebbe alcun problema. Presi tutti insieme, sono il sintomo di un'Italia che non va, che per trascinarsi avanti deve obbligare i suoi giovani migliori a passare qualche mese (talvolta qualche anno) di
«purgatorio». Presi uno per uno, forse avrebbero davvero la possibilità di imparare, venire apprezzati e trovare sbocchi lavorativi soddisfacenti. Presi tutti insieme, equivalgono soltanto a centinaia di migliaia di ore di lavoro gratuito, prestato però non in associazioni non profit, bensì in aziende e società assolutamente profit: equivalgono a tanti burattini, obbligati a piegarsi allo (anzi, agli) stage come rito di iniziazione senza il quale non è pensabile di poter trovare uno straccio di lavoro normalmente retribuito.
Mi raccontava l'altro giorno una ragazza: «Faccio lo stage in una società di consulenza. Al cliente mettono in conto, per ogni mia ora di lavoro, un centinaio di euro. Si intascano i soldi e a me danno solo il rimborso spese fisso».

Questo è giusto? Questo dobbiamo considerarlo un'opportunità? Secondo me, no.
Dunque, lo stagismo va regolamentato, perchè enti e aziende possano continuare ad usarlo, ma debbano smettere di abusarne sulla pelle dei giovani.

venerdì 21 settembre 2007

STAGISMO, SI MUOVE L'UNIONE EUROPEA / 2

E vabbè, Panorama.it ci era arrivato con una decina di giorni di anticipo...
Finalmente la notizia appare anche su un'altra importante testata. Ecco l'articolo di Repubblica, a firma Tullia Fabiani: si intitola «Stage, atto d'accusa delle Ue: "Basta lavoro mascherato da studio"».
L'attacco è fulminante: «Combattere l'abbandono scolastico, favorire l'inserimento nel mondo del lavoro e, soprattutto, controllare i tirocini: tempi, condizioni, e obiettivi reali di uno stage.
Basta con il lavoro mascherato da tirocinio; basta con i rimborsi mancati, i rinnovi senza garanzie e i passaggi da un'azienda all'altra senza mai ottenere un lavoro vero».
Proprio quello che si dice in questo spazio virtuale, proprio il messaggio che provo, insieme a voi che mi leggete, a far passare. «Non è possibile che ci siano giovani che saltano da uno stage all'altro senza avere un lavoro vero. Questo diventa dumping sociale e va combattuto»: lo scrive nel suo rapporto la commissione incaricata dall'Unione Europea di indagare sulla questione. La stessa commissione promette presentare un «
Codice di buona condotta per i tirocini», che però purtroppo non sarà vincolante per le aziende. Servirà a qualcosa?

Per chi avesse voglia di approfondire, a questo link c'è (in francese) il testo completo dell'UE.

martedì 18 settembre 2007

MA I SOLDI PE' CAMPÀ, CHI CE LI DÀ? LA BORSETTA DI PAPÀ...

Poco più di due settimane che ho aperto questo blog. E la questione principale è lì, chiara e cristallina, talmente ineludibile che è impossibile ritardare ancora un post specifico al riguardo.
La questione sono i SOLDI. Vile denaro, sterco del demonio. O, meno puritanamente, la misura di - quasi - tutte le cose.
Qualsiasi persona svolga un'attività dovrebbe avere diritto ad essere retribuita per il suo lavoro. A meno che non rinunci di sua spontanea volontà, come nel caso del volontariato.
Ecco perchè gli stage sono una stortura del mercato del lavoro: perchè gli stagisti sono persone che producono. Non sono passivi, non stanno lì "per imparare": stanno lì, molto semplicemente, per lavorare. Come tutti gli altri. Fanno lavoro d'ufficio, telefonano, compilano documenti, spesso anzi eseguono lo stesso identico lavoro dei loro colleghi più fortunati (con contratti migliori). Quindi: gli stagisti sono persone che producono e che non vengono pagate per quello che producono.
Chi paga per loro? Le famiglie, è ovvio. Famiglie generose... o forse solo rassegnate alla realtà: oggi si sa già che uno che finisce il suo percorso universitario non potrà essere in grado, per qualche mese - talvolta per anni - di rendersi economicamente autonomo.
Ora, oltre agli studenti fuori sede, ci sono pure gli stagisti fuori sede. Bell'affare.
Io per il mio primo stage dopo la laurea mi sono dovuta trasferire a Milano. Dove una singola in un appartamento in condivisione con altri ragazzi non costa meno di 500 euro. Per lo stage me ne davano 250, lordi. Fosse stato per loro, avrei avuto dormire su mezzo letto. Per fortuna l'altro mezzo me lo pagava papà.

martedì 11 settembre 2007

STAGISMO, SI MUOVE L'UNIONE EUROPEA

Il problema dello stagismo irrompe nell'agenda politica dell'Unione Europea...
Leggete questo articolo , scritto dalla
giornalista Maria Spigonardo e apparso oggi su www.panorama.it. Vi si legge: "l’opportunità di uno stage rappresenta per molti ragazzi l’unica via d’uscita. E di entrata nel mondo del lavoro. Ma è la stessa Commissione, in un documento pubblicato questa settimana, a sottolineare i risvolti negativi che un’esperienza del genere può avere. Così ha deciso di rivolgersi direttamente agli Stati membri per regolare con urgenza gli stage anche a livello legale".
Trovo molto importante che il dibattito si apra anche all'Europa e sopratutto che venga ripreso dai media!

sabato 8 settembre 2007

LO SCIOPERO DEGLI STAGISTI

Eccomi di nuovo a scrivere.
Ringrazio innanzitutto le tante persone (più di cento in una sola settimana! Bello!!) che sono venute a curiosare in questo nuovo blog, specialmente quelle che hanno deciso di contribuire alla discussione appena avviata lasciando un commento.
Devo dire che sul piatto ci sono già tanti argomenti stimolanti per il dibattito.
Prendo quello che è a mio avviso il più pressante: di chi è la responsabilità per questo stato di cose?
Katia, da giovane imprenditrice, dice: attenzione a non farvi abbindolare da chi vi propone uno stage, nella maggior parte dei casi non ha alcuna intenzione di assumervi - vuole solo sfruttarvi per un po'.
Ha ragione, ma è vero anche quello che scrive Virginia: a volte non viene offerto molto altro, e allora ai giovani neolaureati non resta che rassegnarsi ad accettare lo stage, cercando di imparare il più possibile e mettere poi a frutto l'esperienza.
Per carità, è lecito che le aziende e gli enti usino lo strumento dello stage, anche tenendo conto del fatto che il lavoro in Italia costa enormemente più che altrove. Prendere uno stagista, pagarlo poco per 2 o 3 mesi, formarlo in vista di assumerlo: questo andrebbe benissimo.
Peccato che però le aziende e gli enti abusino di questo sistema, e che spesso prendano stagisti di continuo, uno via l'altro, senza la vera intenzione di formarli nè tantomeno di assumerli: solo per avere manodopera molto qualificata a costo molto contenuto (per non dire NULLO).

Ma voglio dire anche un'altra cosa, forse meno popolare, ma a mio avviso altrettanto vera: la responsabilità non è solo di chi offre gli stage.
La responsabilità è anche di chi li accetta, contribuendo suo malgrado ad alimentare questo mostruoso "mercato" che allunga a dismisura il momento in cui una persona può avere uno stipendio dignitoso e smettere di chiedere la paghetta ai genitori per potersi mantenere (magari in un'altra città).
E infine, a mio avviso, la responsabilità è anche di una certa mentalità italiana, un po' paternalista un po' gerontofila, per la quale in fondo è giusto che un giovane "subisca". Secondo il triste concetto, per fortuna ignoto nei paesi anglosassoni, che un giovane che entra nel mondo del lavoro deve prima popparsi un bel po' di pedate e umiliazioni, e solo dopo può rivendicare il diritto ad essere riconosciuto (e pagato) per quel che sa fare e vale.
Anche i genitori più illuminati e saggi, quando per l'amato e magari anche brillante figliolo arriva il fatidico momento di trovare un lavoro dopo la laurea, consigliano "di avere umiltà, cominciare dal basso, accettare lo stage". Consapevolmente o meno, si rendono corresponsabili della malsana situazione.
Voi che ne pensate? Da che parte pende la bilancia delle responsabilità?
E se al posto dello sciopero fiscale proponessimo uno sciopero degli stage?

sabato 1 settembre 2007

STAGISTI DI TUTTO IL MONDO, UNIAMOCI

Oggi smetto di essere una stagista. Per sempre, spero: ma non si può mai dire. Comunque, con oggi smetto i panni di stagista e indosso, per la prima volta, quelli di blogger. Ho deciso di aprire questa pagina per me e per tutti quelli che come me si sentono a disagio guardando il mondo del lavoro italiano, e si incazzano per come i giovani vengono trattati.
Ho 28 anni e al mio attivo 5 stage. Uno, il primo, è stato entusiasmante. L'ho fatto durante l'università, avevo 22 anni e uscire dalle aule della Sapienza per stare qualche settimana a contatto con il mondo del lavoro "vero", nella redazione di un telegiornale, mi è servito molto. Il secondo è stato la prima opportunità di "lavoro" dopo la laurea. Non lo dico per vanteria, ma per dovere di cronaca: una laurea conseguita con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. Due lingue parlate molto bene, intelligenza nella media, perfino discreta presenza. Eppure, tutto quel che nel 2004 il mondo del lavoro italiano ha saputo offrirmi come "primo impiego", dopo 5 anni di università e con un buon curriculum, è stato questo: uno stage. 250 euro lordi al mese, per tre mesi. Il lavoro è andato bene, ho imparato tanto, perfino rimediato un contratto a progetto per altri 4 mesi, dopo.
E poi si arriva agli stage recenti. Ho scelto di provare la carta del giornalismo, sono entrata in una buona scuola. In un altro post, prima o poi, vi racconterò come funziona nel mio mondo, e perché gli aspiranti giornalisti siano costretti a fare il praticantato a scuola anziché nelle redazioni. Comunque, torniamo al punto principale: la scuola di giornalismo che ho frequentato prevedeva stage obbligatori in testate giornalistiche. E così, uno dopo l'altro ho fatto i miei tre stage: due completamente a titolo gratuito, il terzo retribuito con un rimborso spese di 250 euro al mese.
Ma chi è uno stagista? Che requisiti deve avere? Che compiti deve svolgere in un ufficio? Quali responsabilità può avere sulle sue spalle?
In teoria, uno stagista è uno che ne sa talmente poco da non avere diritto ad un contratto normale (che per legge prevede un periodo di prova). Uno che proprio non sa niente, e che un'azienda o un ente raccolgono caritatevolmente dalla strada, per insegnargli un mestiere. Uno stagista è uno che deve essere seguito in ogni suo passo dal "tutor", perché da solo non sa fare niente.
In pratica, cioè nella realtà di tutti i giorni, lo sapete meglio voi di me chi è uno stagista. Nella maggior parte dei casi è laureato, spesso a pieni voti. Parla una o più lingue, magari ha fatto anche l'Erasmus da qualche parte. Uno stagista, soprattutto, spesso ha già lavorato (magari con altri contratti di stage). Non è affatto "digiuno", sa come si lavora, e lavora come e più dei suoi colleghi di scrivania, quelli che però sono ben tutelati da un contratto. Il suo "tutor" il più delle volte è semplicemente il suo capo, che gli assegna i compiti come fa con gli altri colleghi.
Ecco chi è lo stagista, in Italia: uno che lavora come gli altri, ma che non viene pagato adeguatamente né tutelato da un contratto.
Ecco perché ho aperto questo blog. Basta subìre: cominciamo a raccontare le nostre storie. Contiamoci. Per me siamo tanti. E l'unione, da che mondo è mondo, fa la forza.