lunedì 28 gennaio 2008

STAGISTI: UN'INCHIESTA CHE VALE PIU' DI MILLE BEI DISCORSI

Un ragazzo laureato in Scienze della Comunicazione ha appena terminato un master in Marketing e comunicazione d'impresa: e ora (indovinate?) cerca lavoro. Ha 25 anni e nella vita si è dato da fare: ha lavorato mentre faceva l'università come operatore di un call center, barista, commesso. Non un bamboccione, insomma.
Ma nella sua ricerca si scontra con il muro di gomma del mercato del lavoro italiano: il massimo che gli offrono (indovinate ancora...) è uno stage.
E' un'inchiesta fresca fresca (qui la trovate intera) di Sergio Cardella, 29enne intraprendente che lavora per il portale Studenti.it.
Cardella ha confezionato un curriculum vitae: falso, certo, ma perfettamente verosimile. L'ha inviato ad agenzie, aziende private e grandi società. Finendo per sostenere un colloquio surreale (al tavolino di un bar!) in cui gli si offriva di fare lo stagista-cassiere-magazziniere senza alcuna promessa di successiva assunzione.
Ha poi realizzato una sorta di sondaggio (in cui ad oggi hanno votato quasi 1000 persone), dal quale emerge che quasi l'80% di quelli che hanno fatto uno stage non è stato poi inserito in azienda. Il 21% ha fatto due o più stage senza alcuna offerta di contratto e il 15% ha trovato un lavoro vero solo successivamente, in un'altra società.
Le istituzioni in quest'inchiesta non ci fanno una grande figura: tutte quelle contattate, dall'ufficio stampa del Ministero del Lavoro al Servizio centrale degli Ispettorati del lavoro, fino alla Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, si sono dichiarate "incompetenti" in materia di stage e tirocini.
Morale della favola? L'istituto dello stage è ormai completamente deformato. Non è più (e forse non è mai stato) un momento
«formazione-lavoro» per studenti, disoccupati e invalidi intenzionati a inserirsi o re-inserirsi nel mondo del lavoro: è diventato un modo per le aziende e gli enti di reclutare forza lavoro a titolo gratuito e temporaneo, con l'aggravante, come rileva Cardella, che gli stagisti sono «facilmente sostituibili e ricattabili».
Ma per fortuna una buona notizia c'è: qualche esponente politico finalmente ammette che la situazione è inaccettabile e che urge regolamentarla. Cardella intervista, per chiudere la sua inchiesta, l'assessore al Lavoro della Regione Lazio, Alessandra Tibaldi (Rifondazione Comunista). La quale ammette testualmente: «Ci sono troppe imprese che vivono di tirocinanti, che si sottraggono all'impegno dell'assunzione e che trovano ogni volta un nuovo giovane che sostituisce il precedente». E promette una legge che imponga «un tempo massimo di durata dello stage oltre il quale non saranno possibili proroghe e una banca dati per verificare la "storia" di ogni azienda». Speriamo che non siano solo parole.

giovedì 17 gennaio 2008

ASCANIO CELESTINI E I SUOI APPUNTI PER UN FILM SULLA LOTTA DI CLASSE

La rivoluzione a teatro? Talvolta è possibile. L'avevo quasi dimenticato, eppure lo spettacolo teatrale Appunti per un film sulla lotta di classe, scritto e interpretato da Ascanio Celestini, l'altr'anno mi aveva colpita, emozionata, indignata. Forse addirittura cambiata.
Ne avevo anche scritto una piccola recensione, per chi fosse curioso eccola qui, sul sito della mia (ormai ex) scuola di giornalismo.
Mi è capitato di rileggerla per caso, perchè Bloglavoro mi ha ricordato la vicenda dei lavoratori del call center Atesia. E ci ho trovato, in forma forse "embrionale", le idee e i concetti e gli interrogativi che poi ho portato, mesi dopo, in questo blog. Scrivevo:
«Va in scena la lotta di classe versione nuovo millennio. Una voragine invisibile divide i lavoratori: quelli con un contratto a tempo indeterminato e quelli che invece lavorano “con una bomba a orologeria infilata nel taschino” – il popolo dei co-co-pro, col contratto in scadenza ogni tre mesi».
E poi:
«
E allora sì, lotta di classe. Raccontare quelli che lavorano a cottimo – ma il cottimo è vietato, e quindi oggi si dice contatto utile: intanto chi risponde alle chiamate conta ogni telefonata come fosse un pomodoro, e verrà pagato un tanto al chilo, pardon al minuto, ma non c’è grande differenza. Dire la disillusione di chi guadagna cifre ridicolmente basse, ed è costretto a vivere nel limbo degli adulti-adolescenti, nell’impossibilità di costruirsi una vita autonoma».
E per finire:
«Sì, lotta di classe: serve un’altra rivoluzione».
Uno spettacolo da andare a vedere. Senza se e senza ma.

LE REGOLE DELLA REPUBBLICA (DEGLI STAGISTI)

Pensavo non fosse necessario, davvero. Pensavo che, lasciando la massima libertà a tutti, ognuno si sarebbe regolato. E invece no: c'è chi transita su questo blog e non si trattiene dal lasciare commenti offensivi, maleducati, con l'esplicito intento - talvolta - di seminare zizzania e provocare.
Prego, fate pure se volete. Ma non su questo blog: non nel mio spazio.
Mi trovo quindi costretta a mettere dei paletti: cioè delle regole. Semplici semplici.
1) Tutti possono esprimere le loro idee e discutere con coloro che esprimono pareri differenti: ma nessuno può offendere gli altri, prenderli in giro, formulare giudizi offensivi sulle loro capacità intellettuali o professionali
2) Tutti possono criticare il punto di vista espresso da me o da qualsiasi altro commentatore, ma nessuno può mettere in dubbio la veridicità di ciò che gli altri raccontano
3) Tutti possono confrontarsi con gli altri e creare un dibattito, anche acceso: ma nessuno può mettere zizzania, aizzando qualcuno contro qualcun altro.
Se ci saranno commentatori che continueranno a trasgredirle, in un primo tempo cancellerò i commenti offensivi; se dovessero continuare, poi, mi troverò costretta ad attivare la funzione che tanti altri blog hanno (e che personalmente non sopporto): la pubblicazione dei commenti non sarà più immediata, ma dovrà essere autorizzata da me. Con la spiacevole conseguenza che chi vorrà intervenire non potrà vedere online immediatamente il suo contributo alla discussione, ma dovrà aspettare che sia io a pubblicarlo.
Spero davvero che tutti i frequentatori di questo blog vorranno recepire queste indicazioni e sceglieranno di scrivere commenti educati e civili.
Non mi piace la censura, ma non posso nè voglio permettere che su questo mio spazio alcuni miei ospiti vengano offesi o ingiuriati da altri ospiti.

mercoledì 16 gennaio 2008

STATALI VS PRIVATI: UN ALTRO DUALISMO NEL MERCATO DEL LAVORO


Un'altra notizia che fa riflettere: in percentuale, i dipendenti pubblici si mettono in malattia il quadruplo dei dipendenti privati. In un articolo apparso su Repubblica, Assenze per malattia: pubblico batte privato quattro a uno, il giornalista Mario Reggio delinea il desolante quadro della situazione. Non ho affatto intenzione di demonizzare, qui, i dipendenti pubblici: ne conosco da vicino tanti, impiegati perlopiù nelle scuole e negli ospedali, che si fanno un mazzo tanto e che di certo non definirei "privilegiati".
Ma i dati dicono qualcosa sulla nostra Italia. Dicono che se lo Stato ti assume, poi non ti devi più preoccupare di niente. Puoi startene a casa quanto ti pare, mandare certificati medici talmente finti da risultare comici, lavorare quando e se ti va. E tanto non ti licenzia nessuno. Pietro Ichino (ancora lui!) sulle pagine del Corriere ha scritto spesso di quel professore di un liceo milanese che in media ogni anno fa il 70% di assenze, dislocando i certificati medici strategicamente prima e dopo le feste comandate. La grande reazione dello Stato a questo comportamento indegno? Trasferirlo. Stessa pena che toccherà a quella signora magistrato che si fingeva malata per potersi dedicare all'hobby della vela.
Ed ecco un altro bel dualismo del mercato del lavoro. In tempi di vacche grasse, negli spumeggianti anni Ottanta-Novanta, nessuno cercava il pelo nell'uovo. Ma oggi, con un mercato del lavoro sempre più difficile e una fascia sempre più nutrita di lavoratori senza tutele e con stipendi inadeguati, francamente questa "illicenziabilità" dei dipendenti pubblici diventa ancor più odiosa.

(Grazie ad Arnald per la vignetta)

martedì 15 gennaio 2008

ICHINO, L'APARTHEID E LA REDISTRIBUZIONE DELLE TUTELE: PER UN MERCATO DEL LAVORO NON PIU' DUALE

Forte l'accostamento tra la parola "apartheid" e il mercato del lavoro italiano: lo azzarda il professor Pietro Ichino nell'editoriale apparso ieri sul Corriere della Sera.
Scrive Ichino:
«Il regime di vero e proprio apartheid che condanna tanti giovani bravissimi (...) a penare per molti anni prima di riuscire a conquistare un posto stabile è l'altra faccia del regime di inamovibilità di cui oggi beneficiano i lavoratori "di ruolo". Più questi sono inamovibili, più è difficile, talvolta impossibile, accedere al lavoro stabile e protetto per quelli che stanno ancora fuori della "cittadella"».
Spiega Ichino che gli economisti chiamano questa situazione «mercato del lavoro duale»: da una parte tutti i privilegi, dall'altra tutti gli svantaggi. Ma la soluzione, ammonisce il professore,
«non è estendere qualche brandello di tutela ai cosiddetti "lavoratori atipici"»: bensì svecchiare le norme che regolano il mercato del lavoro, rendendo meno impossibili i licenziamenti, modificando quei contratti anacronistici che rendono le assunzioni simili a matrimoni («finchè pensione non vi separi», o giù di lì), e però prevedendo ammortizzatori sociali per chi rimane temporaneamente senza lavoro.
Non ha grande fiducia, il professore, nel PD:
«il nuovo partito di Veltroni rinuncia a combattere il dualismo feroce del nostro mercato del lavoro: esso si batterà soltanto per spostare qualche precario tra i protetti e per dare qualche modesto contentino ai molti condannati a restar fuori» afferma, e suggerisce: «Se si vuole davvero combattere efficacemente l'apartheid (...) occorre, sì, un tipo unico di contratto per tutti i lavoratori dipendenti; ma disciplinato in modo che siano garantite la necessaria fluidità nella fase di accesso al lavoro dei giovani e una ragionevole flessibilità nella fase centrale della vita lavorativa, secondo i migliori standard internazionali; e che tutti ne portino il peso in ugual misura».
Il professor Ichino auspica quindi una
«progressiva redistribuzione delle tutele»: ed è quello per cui, al di là di ogni retorica, tutti noi giovani dovremmo spendere le nostre energie.
Ha ragione Ichino, tornare indietro non si può: inutile subire in silenzio oggi sperando di ottenere domani, magari dopo cinque stage e dieci anni di cocopro, un contratto a tempo indeterminato sul modello di quello dei nostri genitori e dei nostri nonni. Invocare il miracolo è soltanto una perdita di tempo. Ma non si può nemmeno andare avanti così: e allora io dico sì alle proposte concrete per agire non sul mercato del lavoro ideale, ma sul mercato del lavoro concreto che abbiamo davanti ogni giorno. Dobbiamo produrre idee e poi sostenerle, e trovare il modo di farle uscire. Se aspettiamo che al posto nostro combattano gli ipertutelati 40-50enni, stiamo freschi.

martedì 8 gennaio 2008

TANTE TESTE, TANTI PARERI: MA E' L'UNIONE CHE FA LA FORZA


Siamo in tanti, è vero. Tanti bloggers che parlano del mondo del lavoro di oggi, che si interrogano su sfruttamenti e privilegi, che cercano soluzioni per cambiare le cose. Tante teste, tanti pareri: forse anche un po' di confusione, ma è normale in questa nuvola fluttuante che chiamiamo Rete.
Io sono ottimista: le voci che sento qui sul mio blog e altrove non mi sembrano così discordanti. Credo che tutti siano d'accordo su un punto almeno: lo stage non deve essere un "dazio" da pagare per entrare nel mondo del lavoro, un periodo di sfruttamento legalizzato nel quale un giovane si mette a pecora e lavora gratis per mesi e mesi. Deve essere un momento di transito dalla realtà universitaria a quella lavorativa: e quel transito deve avere limiti precisi.
Limiti di tempo e limiti di soldi. Per tutti gli stage post-universitari dovrebbe essere prevista una durata massima e una retribuzione minima. Lavoriamo su questo obiettivo, tutti insieme: l'unione fa la forza.

(Grazie ad Arnald per la vignetta)

venerdì 4 gennaio 2008

LUPI PER AGNELLI - NONNISMO IN SALSA DI STAGE

Traggo "ispirazione" da un commento che una giovane e brava giornalista alle prese con collaborazioni e precariato ha lasciato all'ultimo post, quello dedicato al mondo del giornalismo.
Si parlava dell'Ordine dei giornalisti che vorrebbe vietare gli stage nel periodo estivo, ed ecco il parere di Stagistalcontrario:
«In questo mondo bisogna essere lupi, e non agnelli. Allora io, da lupo egoista, dico che sono ben felice che dalla prossima estate non arriveranno più in redazione le ondate di stagisti, perchè questo vuol dire per me avere la possibilità di un contrattino di sostituzione».
Così saremmo questo? Agnelli nei primi mesi (o anni) di lavoro, pronti a trasformarci in lupi non appena possibile? Agnelli che si mettono "a novanta", accettando fare (gratis o quasi) lo stesso lavoro per il quale altri vengono profumatamente pagati, per poi ZAC diventare tutt'a un tratto lupi, della serie "mors tua vita mea"?
Io credo che non debba succedere. Credo che faremmo un grande errore a farci guidare dalla "legge della giungla", pensando
«è giusto che subisca per un po', poi subirà qualcun altro». Una specie di nonnismo che dalla caserma si espande al mondo del lavoro: la prospettiva mi fa rabbrividire. E sono sicura che, in fondo in fondo, faccia rabbrividire anche la Stagistalcontrario.
Quindi rilancio dicendo: e se invece ci impegnassimo affinchè nessuno più debba subire? E se invece un altro mondo fosse possibile? Per me la soluzione migliore sarebbe questa: non essere agnelli all'inizio, e non diventare lupi alla fine. Rimanere semplicemente persone che lavorano, che vengono retribuite adeguatamente per il loro lavoro, e che non vogliono schiacciare nessuno nè farsi schiacciare da nessuno.
Che vi sentiate lupi o agnelli, guardatevi intorno. E' questo il mondo del lavoro che volete? Io no. E continuo a ripetere, a voce sempre più alta, che non è obbligatorio che la situazione rimanga così. Cos'è, qualcuno crede davvero che se una legge regolamentasse lo stagismo, prevedendo una retribuzione minima e una durata massima, il mercato del lavoro italiano crollerebbe? Ma per piacere.
In altri Paesi
a chi propone "Vieni a lavorare da me: ma gratis" i ragazzi neolaureati ridono in faccia. E gli stage vengono pagati. Se da noi il mercato del lavoro in entrata è ormai distorto e malato, bisogna che qualcuno intervenga a raddrizzarlo. E questa responsabilità se la deve prendere il Parlamento.