mercoledì 26 dicembre 2007

STAGISTI GIORNALISTI, L'ESTATE SIA CON VOI

Per una volta dedico un post al mondo professionale del quale faccio parte: il giornalismo. Perchè mi sono imbattuta (qui) in una notizia degna di discussione.
La situazione è questa: poichè in Italia ben poche testate giornalistiche prendono "praticanti", perchè li dovrebbero retribuire con uno stipendio abbastanza alto, ormai la via più battuta per diventare giornalisti è quella delle scuole.
Ce ne sono una ventina in Italia (4 solo a Milano). Tutte a pagamento: quella che ho fatto io, l'IFG, fino al mio biennio era l'unica gratuita, poi la Regione Lombardia ha ridotto i finanziamenti. Risultato, ora anche l'IFG costa - e non poco: 4000 euro all'anno. Ma ce ne sono altre che costano anche il doppio.
Dalle scuole escono circa 300 giornalisti all'anno. Per entrare in una di queste scuole bisogna avere una laurea (basta anche quella triennale) e fare un "concorso". Una volta ammessi, si studiano varie materie e si scrive nei siti internet e nei giornali che la scuola pubblica. In più, ci sono gli stage: da due a cinque nel corso del biennio, a seconda delle scuole. Di solito gli stage vengono fissati nei periodi festivi (Natale, Pasqua, estate) perchè le redazioni si svuotano e per gli stagisti c'è più possibilità di avere spazio.
Ovviamente, ogni stage è percepito come un'occasione per farsi conoscere, dimostrare le proprie competenze e mantenere, dopo, una collaborazione. Quindi il 99% degli allievi ritiene che siano la parte più importante del loro praticantato presso le scuole di giornalismo: una "porta" sul mondo del lavoro vero.
Ora dicono che proibiranno gli stage estivi. Il motivo è presto detto: proprio in quei periodi festivi in cui le redazioni sono a corto di personale, spesso le testate prendono dei giornalisti disoccupati con contratti "di sostituzione". E' abbastanza logico che se al posto di un giornalista professionista disoccupato, da pagare 1200 euro al mese, possono avere un paio di giornalisti praticanti molto motivati, provenienti dalle scuole di giornalismo, a zero euro... Spesso finiscono per scegliere la via economicamente più conveniente.
Avevo già raccontato qui cosa successe due anni fa al Corriere della Sera.
Bisogna dire, a onor del vero, che non tutte le testate fanno così: ve ne sono alcune molto serie, che prendono le sostituzioni e anche gli stagisti, differenziando compiti e responsabilità, e non usano gli allievi delle scuole semplicemente per tappare i buchi senza tirar fuori un euro.
Però, dato che il problema c'è, è giusto affrontarlo. Proibendo gli stage estivi? Secondo me proprio no. E allora come risolverei, io, la questione? Farei stabilire all'Ordine dei giornalisti un rimborso spese minimo obbligatorio di 600 euro al mese per ogni stagista - oppure, detta diversamente, una retribuzione minima non inferiore al 50% di quella che verrebbe erogata a un praticante regolarmente assunto. Non è tanto e non è poco: ma scoraggerebbe chi negli stagisti cerca solamente un escamotage per risparmiare. Metterebbe un po' in equilibrio la "concorrenza sleale" tra allievi delle scuole e giornalisti disoccupati. E ripristinerebbe anche il fondamentale rapporto consequenziale tra impegno, lavoro e retribuzione, che negli stage viene troppo spesso vergognosamente dimenticato.

martedì 11 dicembre 2007

COALIZIONE GENERAZIONALE, DIBATTITO ALL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA

Sono contenta di poter usare questo blog come cassa di risonanza per un evento che mi sembra significativo: il primo dibattito di Coalizione Generazionale. Con un titolo importante: "AAA speranza di futuro offresi: immaginare un buon domani per i giovani italiani è ancora possibile?".
La parola ai relatori (Angela Padrone, giornalista e autrice di
Precari e contenti, Francesco Delzio, autore di Generazione Tuareg, Michel Martone, professore di Diritto del lavoro, e Federico Mello, autore de L'Italia spiegata a mio nonno), ma sopratutto a chi vorrà assistere al dibattito e poi partecipare alla discussione.



Giovedì 13 dicembre alle 17:00 presso la facoltà di Scienze politiche della Sapienza.

venerdì 7 dicembre 2007

CROZZA A BALLARÒ: LA VERITÀ, LO GIURO, SUI PRECARI

Con questo video inauguro la nuova vita multimediale del mio blog! Spero che apprezzerete.
E' un filmato cortissimo, meno di due minuti, tratto dall'ultima puntata di Ballarò. E Crozza è lapidario nel denunciare quel che qui dentro dico, anzi diciamo, da mesi. E cioè che il fulcro di tutta la questione "giovani e lavoro" è semplicemente uno: il denaro!



Dice Crozza: «Una volta le mamme dicevano ai figli: "Se da grande vuoi avere successo, studia". Oggi le mamme dicono: "Se da grande vuoi avere successo, palleggia... vai dalla De Filippi... telefona a Lele Mora... Basta che non ti veda più con un libro in mano!"».

Mi torna alla mente un post di qualche tempo fa:
«LAUREATO, STAGISTA ASSICURATO». Avevo scritto: «se vuoi l'indipendenza economica a 25 anni sognati di fare l'architetto, il giornalista, il pubblicitario. Anche se sei bravissimo. Anche se sei sveglissimo. Anche se sei avantissimo. Quelli sono lavori che in Italia rendono dai 40 anni in poi». Sorry, avevo dimenticato, nell'elenco dei mestieri, di citare... Il ricercatore del CNR!

giovedì 6 dicembre 2007

TEMPO INDETERMINATO? SI', MA PER GLI STAGE

Qualche settimana fa per questo blog era passato un ragazzo di nome Alberto. Lasciando un commento che mi aveva colpito: "a un mio amico hanno proposto uno STAGE A TEMPO INDETERMINATO A 200 EURO AL MESE".
Per una volta, non vi tedio con la questione pecuniaria. Una sola riga di indignazione per la retribuzione, e passo avanti.
Avanti all'aspetto più grave: quel "tempo indeterminato" che è un misto di opportunismo, menefreghismo, e presa per il culo. Opportunismo perchè l'azienda in questo caso ha sfruttato al massimo l'opportunità del "Far West stagistico": siccome nessuno impone una durata massima per gli stage, chi impedisce di prevedere infatti stage "a tempo indeterminato"? Menefreghismo perchè con questa trovata il datore di lavoro dimostra di fregarsene altamente dei progetti che un giovane potrebbe voler fare per il futuro: perchè che cavolo di progetti può fare un povero Cristo se nemmeno sa quanto tempo durerà il suo stage? E infine, presa per il culo. Perchè dire "stage a tempo indeterminato a 200 euro al mese" equivale ad affermare: "Sei nelle mie mani. Solo io decido quanto farti rimanere nel limbo dello stage, se e quando farti un contratto più decente, se e quando cominciare a pagarti davvero".
Io continuo a dirlo forte e chiaro: ci vorrebbe una regolamentazione per gli stage. Una retribuzione minima, una durata massima, un limite ai rinnovi. Voi che ne pensate?

martedì 4 dicembre 2007

IL SINDACATO DEI PRECARI

Storicamente, sono grata ai sindacati. Hanno permesso, nei decenni, che i lavoratori più deboli venissero tutelati, che le donne incinte o neomadri non venissero buttate fuori con un calcio nel sedere perchè meno produttive, che contrarre una malattia non equivalesse a venir licenziati.
Ultimamente, sono allergica ai sindacati. Sono loro la forza più retrograda di questo nostro Paese: sono loro che ottusamente si oppongono ad ogni riforma, e pretendono che il mondo rimanga cristallizzato a 30 o 40 anni fa, che i lavoratori non possano essere licenziati nemmeno quando palesemente si comportano in maniera scorretta sul posto di lavoro (chi non mi crede si legga il libro di Gigi Furini, "Volevo solo vendere la pizza"), che l'età pensionabile non aumenti con l'aumentare dell'età media, che il mondo del lavoro non recepisca i cambiamenti della società.

Però non posso che guardare con simpatia al neonato FULPP, Federazione Unitaria Lavoratori e Professionisti Precari. Perchè una cosa è certa: nella selva di metalmeccanici, colletti bianchi, statali, insegnanti, ognuno col suo bel sindacato di riferimento, fino a ieri c'era una fetta di lavoratori senza la minima rappresentanza. Una fetta che si andava ingrossando di giorno in giorno: e che oggi, almeno stando ai dati del Fulpp, conta circa 8 milioni di persone. Con quei famosi "contratti strani", come li chiamo io, che non li tutelano e non li retribuiscono il giusto.
L'avevo scritto anch'io, proprio nel primo post di questo blog: l'unione fa la forza. E quindi è giusto unirsi.

sabato 24 novembre 2007

SIAMO TUTTI COCAINOMANI

Ci sono delle frasi che, nel leggerle, la faccia assume una smorfia stranissima. Le labbra si distendono e gli zigomi si contraggono, come per una risata. Ma poi, come in automatico, vanno giù il mento e gli angoli della bocca.
Sono quelle frasi involontariamente comiche, per cui uno accenna a ridere, ma poi subito si blocca, ci pensa un secondo e si dice «No, aspetta, questo no: non fa ridere».
A me è successo l'ultima volta leggendo la lettera di «clabaldi72», nella rubrica che Umberto Galimberti tiene sul settimanale D di Repubblica.

La frase incriminata è questa: «Per l'ennesima volta devo mettermi a cercare un lavoro. Mi ritrovo ancora di fronte ai soliti annunci. Gli annunci cercano sempre lo stesso tipo di soggetto: giovane volenteroso, dinamico, ambizioso, determinato, intraprendente, produttivo e con ottima resistenza allo stress. Poi dicono che la gente si droga, che la cocaina è la piaga della società occidentale, quando è evidente che il profilo del lavoratore ideale è quello di un cocainomane».
Ammettetelo, fa ridere anche voi. Perchè è vero! Ma fa anche piangere: perchè è vero.
E aggiungo giusto giusto altri due-tre requisiti le aziende richiedono a chi cerca lavoro: «laurea, inglese fluente, almeno un'altra lingua straniera scritta e parlata, disponibilità agli spostamenti» e magari pure «bella presenza».
Il che andrebbe benissimo, beninteso: se con questo profilo da superuomo/superdonna fossero alla ricerca di un manager da 100mila euro l'anno.
Il tragico (che fa sempre piangere e ridere - ma più piangere) è che con questo profilo la maggior parte delle volte cercano uno stagista. Da pagare 250 euro al mese.

sabato 17 novembre 2007

SOGNANDO MANNHEIMER: SONDAGGI E SONDAGGINI

Ormai sono quasi tre mesi che ho aperto questo blog. Per gioco ho messo online, in tempi diversi, due sondaggi. Chiaramente non hanno alcun valore statistico, ma oggi scrivo due righe per fare il punto sui risultati.
Nel primo sondaggio chiedevo: "Quanti stage hai fatto dopo la laurea?". Il 40% dei partecipanti ha risposto "Più di tre". Se a questa percentuale si somma quella della risposta "tre", vien fuori che quasi la metà dei ragazzi che hanno votato si è dovuta sorbire 3, 4, magari 5 stage all'inizio della vita lavorativa. Solo il 13% ha scelto l'opzione "nessuno".
Nel secondo sondaggio la questione era declinata sul pecuniario: "Quanto sei stato pagato per il tuo stage?". Qui quasi la metà dei partecipanti ha risposto: "nulla". Solo un misero 8% ha scelto l'opzione più alta, "più di 500 euro": che poi, a ben guardare, neanche sono questi gran soldi con cui uno si può mantenere...
Questo purtroppo va a confermare varie teorie. La prima: che oggi quasi tutti i laureati devono passare per la "tappa obbligatoria" dello stage per poter accedere al mondo del lavoro. La seconda: che molto spesso la tappa diventa anche "multipla". Terzo, che i datori di lavoro hanno le braccine belle corte, perchè quasi sempre prevedono rimborsi nulli o simbolici per i loro stagisti. Quarto, che dietro questo piccola legione di stagisti, c'è un esercito di genitori che pagano le spese.
Ora vorrei lanciare un terzo sondaggetto: "Ti è capitato di ottenere un contratto dopo aver fatto uno stage?". Ma temo che i risultati mi deprimerebbero...

domenica 11 novembre 2007

COLLOQUI SURREALI (EPPUR MOLTO REALI)

Ricostruisco due colloqui di lavoro realmente avvenuti. Poi, giudicate voi se viviamo in un Paese normale.

DATORE DI LAVORO # 1: «Bene, quindi lei sarebbe interessato a venire a lavorare per noi»

RAGAZZO (27enne, laureato, brillante, plurilingue etc): «Sì»

DATORE DI LAVORO # 1: «Qui prevediamo un full time con contratto di stage, il rimborso spese è di 250 euro al mese»

RAGAZZO: «Ok»

DATORE DI LAVORO # 1: «Mi scusi ma lei qui a Milano come si manterrà? Il lavoro che le proponiamo non permette di farne altri contemporaneamente, qui si sta in ufficio dalle 9 alle 19, è molto impegnativo»

RAGAZZO: «Beh, mi aiuteranno i miei».


Il datore di lavoro evidentemente, pur nel suo intento di sfruttamento, è consapevole che con 250 euro al mese uno a Milano non ci si paga neanche l'affitto in una quadrupla: e vuole sapere come farà il povero cristo, una volta accettato lo stage, a pagarsi da vivere.
Il ragazzo lo rassicura: «Io lavorerò per te per la miseria che tu definisci "rimborso spese", ma in realtà a pagarmi saranno i miei genitori».

Quindi, le aziende ormai DANNO PER SCONTATO che le famiglie provvedano al sostentamento dei figli mentre loro, dal lavoro di quei figli, ci guadagnano montagne di soldi.
Il datore di lavoro # 1 corrisponde al 90% dei datori di lavoro italiani.

C'è un altro modo, però, di essere imprenditori in Italia. C'è un altro modo di trattare i giovani.

DATORE DI LAVORO # 2: «Bene, quindi lei sarebbe interessato a venire a lavorare per noi»
RAGAZZO: «Sì»

DATORE DI LAVORO # 2: «E quanti soldi le servirebbero per rendersi completamente indipendente?»

RAGAZZO (incredulo): «Eh?»

DATORE DI LAVORO # 2: «Sì. Vorrei sapere, per valutare il suo stipendio mensile, quale cifra lei ritiene sufficiente a coprire tutte le sue spese. In modo da poter smettere di chiedere soldi ai suoi genitori»

RAGAZZO (completamente spiazzato): «Beh, mi dia un attimo per calcolare...».

Il datore di lavoro # 2 assicura che le richieste sono sempre assolutamente ragionevoli: nessuno "spara" 3mila euro al mese, nessuno approfitta dell'offerta.
Dichiara anche, l'imprenditore virtuoso, di ritenere eticamente necessario poter retribuire adeguatamente una persona ormai adulta affinchè non sia più un ragazzo, dipendente dai genitori, ma possa diventare un uomo (o donna, ovviamente).

Il datore di lavoro # 2 è una rarità. Una mosca bianca nel panorama italiano. Ma io ve lo assicuro: esiste.

venerdì 9 novembre 2007

MAMMA E PAPÀ, AMMORTIZZATORI SOCIALI ALL'ITALIANA

I giovani italiani guadagnano troppo poco? Devono sorbirsi stage, co.co.pro. e altri contratti strani fin quasi alla soglia dei 40 anni? Difficilmente riescono ad abbattere, nelle retribuzioni, il muro dei 1000 euro al mese? Ci pensano mamma e papà. Questa è la salvezza - e insieme il dramma - dei giovani italiani.
Altrove è inconcepibile che un genitore paghi l'affitto, o faccia periodicamente la spesa, a un figlio trentenne. Qui in Italia invece è più o meno la regola: se non succede, spesso è perchè il figlio rimane direttamente a vivere nella casa paterna... guadagnandosi l'epiteto "bamboccione" di cui abbiamo già parlato altrove su questo blog.
La questione ricorda l'antico dilemma: «E' nato prima l'uovo o la gallina?». I genitori continuano a mantenere i figli così a lungo perchè i figli guadagnano troppo poco, oppure - dato che tanto i genitori elargiscono quattrini ben oltre il periodo di formazione - i figli non pretendono dai datori di lavoro retribuzioni adeguate?
Cerco di spiegare meglio il dubbio sul quale ragiono da qualche tempo. Se per assurdo tutti i genitori italiani si mettessero d'accordo e dicessero: «Caro figlio, dopo la laurea non ti dò più una lira, arrangiati di conseguenza», secondo voi ci sarebbero tanti ragazzi (me per prima, eh - non mi voglio autoassolvere) disponibili a fare stage gratuiti o a lavorare a progetto per 800 euro al mese?
Io credo di no. Se cambiasse la mentalità finiremmo per comportarci come i nostri coetanei inglesi o americani, che dopo l'università a qualcuno che propone «Lavora da me, però ti pago una miseria» ridono in faccia. Perchè con i soldi ci si devono pagare vitto, alloggio, annessi e connessi: senza «aiutini» dai genitori.
Infatti, lì c'è ben poca gerontocrazia: se uno è capace di fare il suo mestiere viene pagato bene, anche se ha solo 25 anni. Qui invece se chiedi uno stipendio adeguato a quell'età vieni guardato come un folle: «ma come, e l'umiltà? ma come, e la gavetta? ma come, non capisci che prima devi dimostrare [per mesi se non per anni, aggiungo io mestamente...] di essere capace?».
Così i genitori diventano gli ammortizzatori sociali primari del mondo del lavoro italiano. Se gli stipendi dei figli sono troppo bassi, loro intervengono ad integrarli. E i datori di lavoro una volta ancora si sfregano le mani: così possono continuare a pagare i 25-30enni la metà di quel che dovrebbero. E senza paura che muoiano di fame o che dormano al freddo.

Vedo dal report di Shinystat che su questo blog si collegano spesso persone dall'Inghilterra, dall'America, dai Paesi Bassi, dalla Spagna. Anche a loro chiedo: raccontate come va da quelle parti. Il confronto col resto del mondo è importante, se non vogliamo rimanere incastrati in questo modo italiano che sta dimostrando di funzionare poco e male.

sabato 3 novembre 2007

CERCATE BRONTOLO? MI SPIACE, NON ABITA QUI

Prendo spunto da uno scambio di opinioni avvenuto su questo blog tra Angela Padrone e Mimi, nell'ambito del post "OPPORTUNITA' O SFRUTTAMENTO? QUALCHE DOMANDINA".
Scriveva Angela, giornalista e autrice del libro «Precari e contenti»: «Avete di fronte un mercato del lavoro difficile, sì, non lo conquisterete lamentandovi e pretendendo, ma solo dimostrando di essere meglio di qualcun altro».
Ed ecco la risposta di Mimi: «Non capisco perché, nonappena si apre il dibattito sugli stage, ci si debba sentir dire che siamo dei brontoloni. Dal punto di vista lavorativo non mi è stato mai regalato niente e non mi sento rappresentata dal sindacato. Devo stare zitta e ringraziare se non vedrò un contratto nei prossimi sei anni? Proprio perché sono meglio di qualcun altro, e lo sto dimostrando nel lavoro, credo di aver diritto a rivendicare trattamenti più dignitosi».
Io penso che accusare chi denuncia un sistema iniquo - e ragiona sui modi per cambiarlo - di «volersi solo lamentare» sia troppo facile. E credo che Brontolo non abiti in questo blog. Qui non ci si autocompatisce: qui si prova a denunciare una situazione, purtroppo ormai diffusissima, di sfruttamento sistematico della manodopera più qualificata, quella che io chiamo «cervellodopera».
Angela Padrone ha ragione quando scrive che «anche tra i laureati ci sono tanti che sono presuntuosi, ignoranti, non si mettono in sintonia con chi hanno di fronte». Ma ciò non vuol dire che un datore di lavoro abbia il diritto di sfruttarli, assumendoli con ridicoli contratti di stage e pagandoli niente, o 200-300 euro al mese (che poi in sostanza è uguale a niente).
Ogni persona ha diritto di essere retribuita per quello che fa, per il tempo che dedica al lavoro, per i soldi che fa guadagnare alla sua azienda. Il lavoro gratuito ha altri nomi: volontariato, hobby, beneficienza.
Aggiungo che per vedere se una persona è capace di svolgere una determinata mansione, già esiste il periodo di prova all'interno dei normali contratti. Oppure esiste il «l'altro modo» di utilizzare gli stage: pagando bene gli stagisti, prendendoli solo in una reale prospettiva (non «garanzia», ma perlomeno «prospettiva») di assunzione, rispettando la loro (spesso già formata) professionalità.
La situazione è iniqua, e va cambiata. Ma se nessuno lo dice, prendendosi il rischio di essere accusato di brontolare e di non dimostrarsi sufficientemente umile, ci sono ben poche possibilità che cambi da sola.

giovedì 1 novembre 2007

FLESSIBILITA' VS PRECARIATO: LA SOTTILE LINEA ROSSA

Lo diciamo chiaro una volta per tutte. C'è una linea rossa che divide la flessibilità dal precariato. E' sottile, a molti fa comodo fingere di non vederla, ma c'è.
Ci sono due modi per chiamare quelle forme di lavoro atipico («contratti strani», li ho ribattezzati io) in cui il lavoratore viene utilizzato per brevi periodi, magari a singhiozzo o «a chiamata», senza garanzie per il futuro. Quando si vuole parlarne in termini positivi si usa «flessibilità»; invece quando si vuole porre l'accento sugli «effetti collaterali» negativi di queste tipologie di contratto si parla di «precariato».
Dove sta la differenza? Nel denaro.
E' una semplice, banale, importantissima questione di soldi.
Il lavoratore flessibile è quello che non patisce la mancanza di un contratto stabile. Guadagna molto, o quantomeno abbastanza, e quindi gli sta bene così. Non teme di «ritrovarsi in mezzo a una strada», con il suo conto in banca è in grado di far fronte a qualche periodo di inattività o alle spese impreviste che possono derivare da una malattia, da una spesa straordinaria del condominio, o ad altre sorprese della vita che comportino esborso repentino di denaro.
Il lavoratore precario non sa come arrivare alla fine del mese. Quasi sempre guadagna meno di mille euro al mese. Vive con angoscia il momento della scadenza del contratto, non sa cosa ne sarà del suo futuro. Spesso per vivere da solo deve ricorrere al sostegno economico dei genitori, che vanno a «integrare» il suo stipendio troppo basso. Se per cocciutaggine o fortuna riesce a pagarsi vitto e alloggio da solo, comunque è consapevole che qualsiasi spesa imprevista lo atterrerebbe, e che in quel caso dovrebbe necessariamente rivolgersi ai suoi per fronteggiarla. La femmina (specie ultra-trentenne) di lavoratore precario, poi, è tristemente combattuta tra la voglia di fare un bambino e la consapevolezza che col suo contratto non avrà né accesso a tutti gli aiuti su cui invece può contare una donna assunta a tempo determinato o indeterminato, né abbastanza soldi per fregarsene di quegli aiuti e farsi una «maternità indipendente».
Solo che di lavoratori flessibili in Italia ce ne sono ben pochi. Lavoratori precari, una marea. E' qui che sta la (solita) anomalia italiana. Altrove se non vuoi dare garanzie a chi lavora per te, lo devi (DEVI) pagare di più. In Italia, invece, lo puoi pagare infinitamente meno. E quello deve pure stare zitto, perchè altrimenti si trova disoccupato. Nel silenzio assordante dei sindacati, che tutelano (e ben oltre il ragionevole) solo quelli con contratti meno strani.

giovedì 25 ottobre 2007

LAUREATO, STAGISTA ASSICURATO

Interno notte, riunione di vecchi amici, quasi tutti classe 1978. Trent'anni: non ancora, ma quasi. Partono le storielle sui bei tempi andati, il liceo, le gite scolastiche, le pettinature anni Novanta. E poi, di colpo, si parla di quello. Di quelli che dopo il liceo hanno fatto l'università, di quelli che hanno fatto altro.
C'è quella che si è laureata come un fulmine, 110 e lode in Lettere, e ora insegna italiano in una scuola privata. C'è quello che ha fatto psicologia clinica, ma ora non è più tanto sicuro di voler dedicare la sua vita ai matti, e medita di darsi alla psicologia del lavoro. Ci sono il carabiniere, la farmacista, l'artista. Poi ci sono anch'io, ovviamente, giornalista in fieri.
Si chiacchiera di stage, di contratti a progetto, di stipendi. E quel che viene fuori è un'altra Italia a due velocità. Non più contrapposte (come nel post di qualche giorno fa) due generazioni, i più vecchi coi contratti blindati e i più giovani coi contratti a progetto. No: ad essere contrapposti stavolta sono i giovani della stessa età che hanno fatto scelte diverse.
Perchè ad essere tartassati di stage sono sostanzialmente quasi solo i laureati. Quelli che a 18 anni hanno scelto di investire sul proprio futuro. Gli altri, idraulici elettricisti geometri e molti altri, di stage non ne vogliono sentir neanche parlare. Lavorano, e per quello che lavorano vengono pagati. Sacrosantamente, aggiungo. Prova a dire a uno spazzino: "per insegnarti a spazzare la strada ti chiedo di fare 3 mesi gratis, come stagista". La scopa te la tira in testa, quantomeno.
Quindi il discorso è questo: chi vuole fare un lavoro "importante", di quelli per cui serve studiare, aggiunga pure agli anni dell'università un certo numero di anni di sfruttamento. Pur dopo anni di studio, e magari già qualche esperienza lavorativa, si rassegni a percepire - inizialmente, certo - retribuzioni ridicole, inferiori perfino a quelle di una donna delle pulizie (8 euro all'ora, più o meno).

Insomma: se vuoi l'indipendenza economica a 25 anni sognati di fare l'architetto, il giornalista, il pubblicitario. Anche se sei bravissimo. Anche se sei sveglissimo. Anche se sei avantissimo. Quelli sono lavori che in Italia rendono dai 40 anni in poi. Non so voi, ma io non ci sto.

giovedì 18 ottobre 2007

OPPORTUNITA' O SFRUTTAMENTO? QUALCHE DOMANDINA

Un paio di giorni fa sono andata alla presentazione del libro "Precari e contenti" di Angela Padrone, alla libreria Egea di via Bocconi, qui a Milano. Una sfilza di relatori: Michele Tiraboschi e Stefano Liebman docenti di Diritto del lavoro (il primo all'università di Modena, il secondo alla Bocconi), gli autori del libro "Generazione 1000 euro" Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa, il giornalista del Corriere della Sera Massimo Sideri che faceva da "moderatore". Per fare il punto sul tema della flessibilità (e del precariato): un'opportunità o una condanna?
Purtroppo il tempo si è sbriciolato alla velocità della luce, e a me sono rimaste in tasca molte domande.
Per esempio, Alessandro Rimassa ha denunciato la "falsità" di molti contratti a progetto, che di progettuale hanno ben poco (se non i vantaggi fiscali per il datore di lavoro) e che più spesso che mai si risolvono in mero lavoro d'ufficio dalle 9 alle 19, come qualsiasi altro impiegato. E io avrei voluto chiedere: ma perchè non si investe in controlli? Perchè le aziende che mentono sui contratti a progetto non vengono stanate e sanzionate? Perchè lo Stato non si impegna su questo fronte, per tutelare i suoi lavoratori più deboli?
Poi, il mio argomento prediletto: gli stage. Sideri l'ha detto chiaro e tondo: l'anomalia italiana è che spesso sono gratuiti, mentre nel resto del mondo vengono adeguatamente retribuiti.
...Anche se poi Angela Padrone se n'è venuta fuori, verso la fine, con una frase provocatoria:
«Gli stagisti sono pagati poco? Macché. Appena uscita dall'università avrei pagato io, per avere l'opportunità di fare uno stage in una redazione».
Certo, lo sappiamo tutti, è come dire
«Pagherei per uscire con George Clooney». Si sa che è una frase ad effetto, ma che poi nessuna (o quasi) metterebbe davvero mano al portafoglio: nessuna lo considererebbe giusto. Ok, era una boutade.
Ma a me è rimasto in gola un magone: davvero c'è gente che pensa che per un 25-30enne, quasi sempre con laurea e certe volte addirittura master alle spalle, uno stage gratuito o sottopagato
(che spesso si moltiplica in due, tre, quattro) sia un'OPPORTUNITA'?? Mi sembra un tantino retorico.

martedì 16 ottobre 2007

MICHEL MARTONE, PROFESSORE EQUILIBRISTA

Ieri sera su La7, all'interno della trasmissione Exit, è andato in onda un approfondimento sul mercato del lavoro italiano e sul ruolo dei sindacati nell'organizzare questo mercato.
Sotto accusa, proprio il sistema "a due velocità" di cui si parla spesso anche in questo blog: i lavoratori di una certa età, ipergarantiti da contratti blindati, contrapposti ai lavoratori precari. E il sindacato che troppo spesso lavora esclusivamente a vantaggio dei primi, "dimenticandosi" (retorica a parte) i secondi.
«La rivolta dei bamboccioni», stava scritto al centro dello studio tv: quei bamboccioni che non possono proprio andarsene di casa, perchè non hanno uno stipendio adeguato. Quelle bamboccione che vengono licenziate, se rimangono incinte, perchè si ha una bella faccia tosta a dire che il contratto a progetto le tutela.
Sono rimasta piacevolmente sorpresa da uno dei protagonisti della serata. Un ragazzo con zazzera scarmigliata e sguardo intelligente: quando Ilaria d'Amico ha cominciato a chiamarlo
«professore», mi si sono drizzate le antenne. Ho poi scoperto l'identità del giovane docente: Michel Martone, ordinario di Diritto del lavoro all'università LUISS di Roma. Uno dei 9 professori ordinari al di sotto dei 35 anni, per la precisione. 9 su 19mila, per la precisione. (Tristezza).
Ho ritrovato nelle parole del 33enne Martone molti dei miei convincimenti. Segno che forse non sono solo gli sproloqui di una giovane giornalista, ma anche le analisi di un esperto, sorrette da studi e ricerche.
Mi sono convinta ancor di più che se dovessi scegliere adesso una parola d'ordine, opterei per RIEQUILIBRIO.

venerdì 12 ottobre 2007

IL MONDO DEL LAVORO ITALIANO VA A DUE VELOCITA'

Questo è un blog dedicato allo stagismo. Con un'idea di fondo: se lo stage è il modo in cui si entra oggi nel mondo del lavoro, beh questo modo è sbagliato, e va corretto. Però è inevitabile che in questo blog si parli anche più in generale di mondo del lavoro. Tanti di voi nei commenti l'hanno sottolineato. Non ci sono solo gli stage, c'è anche il precariato sottopagato che affligge i giovani e che in molti casi li rende "bamboccioni" impossibilitati ad uscire di casa.
Quello che mi lascia sempre basita è che quasi nessuno, dai più giovani ai più vecchi, si rende conto che per riformare il mercato del lavoro e dare uno straccio di tutela a stagisti, interinali e cocopro, bisognerebbe per forza toccare gli altri. Le risorse non sono infinite: se chiediamo più tutela per quelli che hanno i "contratti strani", se vogliamo che vengano pagati il giusto e che abbiano alcuni diritti, allora dovremo anche cedere qualcosa in cambio.
Ci sono tanti lavoratori "intoccabili" oggi in Italia. Protetti, anzi protettissimi, dai contratti a tempo indeterminato, dagli articolidiciotti, dai tribunalideilavori che nelle cause danno ragione a loro in percentuali bulgare. Accanto a conquiste giuste e sacrosante, come la tutela in caso di maternità o malattia, ci sono state conquiste "implicite", come per esempio la sostanziale illicenziabilità. L'Italia oggi va a due velocità: da una parte gli iper-tutelati, che non vogliono cedere di un centimetro i loro privilegi, e dall'altra i precari che subiscono mille angherie: sperando, prima o poi, di finire dall'altra parte della barricata.
Ma non dovremmo lavorare, combattere per un sostanziale RIEQUILIBRIO della situazione?

martedì 9 ottobre 2007

BAMBOCCIONI - LA QUESTIONE ANAGRAFICA

C'è una cosa che mi preme sottolineare. Abbiamo sentito parlare e parlato tanto di bamboccioni: quasi tutti i miei "blog di riferimento", da Cambiamondo a DiversamenteOccupati, fino all'EcoDiario che ho scoperto solo ieri, hanno pubblicato post e avviato discussioni al riguardo.
Ma nessuno ha ancora fatto il punto sulla questione principale: quanti anni hanno i bamboccioni? Il particolare non è di poco conto.
Si dice che i giovani devono accettare la precarietà e adeguarsi agli stage e agli altri "contratti strani", quelli che prevedono pochi soldi e ancor meno garanzie. Devono accettare la gavetta, non possono avere troppe pretese. Ok. Però dall'altra parte si dice che i giovani devono a un certo punto lasciare il nido familiare e spiccare il volo, trovandosi una casa e mantenendosi con le proprie forze. Che altrimenti sono i soliti viziati, comodi a casa, appunto: "bamboccioni", come li ha definiti il ministro Padoa-Schioppa. Ok.
Ma queste due direttrici devono trovare un punto d'incontro. E bisogna che ci mettiamo d'accordo. Finchè a una persona vengono proposti contrattini di stage o altro che prevedono retribuzioni risibili (diciamo, al di sotto degli 8-900 euro al mese) è innegabile che non potrà andarsene di casa con le sue forze. Quindi sarà un "bamboccione": la variante è il "bamboccione-vip", con casa da solo finanziata dai genitori.
Allora il ministro dovrebbe specificare quanti anni hanno i bamboccioni a cui ha fatto riferimento. Sono i giovanissimi laureati triennalisti? Allora hanno dai 23 ai 25 anni. Sono i giovani laureati vecchio ordinamento, o con laurea specialistica? Allora hanno dai 25 ai 28 anni. Sono gli over 30? Gli over 35? Perfavore, qualcuno mi aiuti a capire. Nell'attesa, rimango convinta che a ogni età corrispondano sogni e bisogni e diritti. A 25 anni si può ancora accettare di guadagnare 600 euro al mese, ed essere (per forza!) aiutati economicamente dai genitori. A 28 è già molto più difficile da mandar giù. Dopo i 30 è definitivamente indigesto: perchè a 30 anni uno vorrebbe sacrosantamente avere una sua famiglia, una casa, magari pure un FIGLIO (eresia), e potersi permettere di mantenere tutto ciò senza chiedere la paghetta a mamma e papà.
Quindi, definiamo una volta per tutte l'età dei bamboccioni. E conseguentemente definiamo anche l'età degli stagisti. Si può essere stagisti a 22 anni? Sì. Lo si può essere a 28? Secondo me, no.

sabato 6 ottobre 2007

SI FA PRESTO A DIRE BAMBOCCIONI

Il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa dice spesso quel che molti altri politici non hanno il coraggio di dire. Sulle pensioni, per esempio. Sull'evasione fiscale, per esempio. E per me questo è un pregio.
Ma credo che le sue ultime dichiarazioni siano un po' miopi. E' vero che ci sono tanti giovani che preferiscono rimanere a vivere dai genitori. Le lasagne di mamma e le bollette del telefono pagate da papà sono sicuramente argomenti allettanti, e si sa che siamo un popolo di mammoni...
Ma è vero anche che un neolaureato non ha davanti molta scelta: uno stage (da zero a cinquecento euro al mese come rimborso spese, in media - ma più zero che cinquecento), un contratto a progetto o a termine (da seicento a mille - milleduecento per quelli proprio fortunati) oppure collaborazioni saltuarie che non si sa mai quando e se renderanno qualcosa. O vogliamo parlare dei giovani avvocati che fanno praticantato con rimborsi-spesa risibili?
Su queste basi, suvvia, altro che bamboccioni: non è realistico pensare che i ragazzi possano prendere armi e bagagli e andare a vivere da soli! Quando un monolocale in affitto a Roma o a Milano non costa meno di 600 euro al mese (per non parlare delle caparre esose e delle mensilità anticipate - e quasi sempre senza contratto, non serve nemmeno specificarlo...), c'è poco da scegliere.
Guardiamoci in faccia: chi esce di casa è aiutato dai genitori, che pagano l'affitto, le spese della macchina o che una volta ogni tanto riforniscono la dispensa. Solo così la maggior parte dei giovani riesce a diventare "indipendente" - si fa per dire. Poi piano piano, anno dopo anno, lo stipendio cresce, il contratto migliora, e si arriva all'indipendenza vera. Ma i giovani che riescono a uscire di casa presto, e senza chiedere niente a nessuno, sono una specie in via di estinzione: per tutti gli altri c'è la convivenza (ormai forzata) con la famiglia di origine, o una casa propria, sì, ma grazie all'aiuto (salvifico) di mamma e papà.
Il ministro si dovrebbe chiedere: con gli stipendi che diamo a questi 25-30enni, possiamo davvero pensare che rimangano troppo a lungo a casa perché sono pigri e bamboccioni?

martedì 2 ottobre 2007

RIFLESSIONI TINTA ROSA SHOKKING

Dal libro "Voglio un mondo rosa shokking", di Rossella Canevari e Virginia Fiume (Newton Compton editori, 2007)

«E' stato naturale metterci a parlare di quanto sia complicato trovare un lavoro dopo che ci si è laureati. Le possibilità di uno stage esistono, peccato il piccolo dettaglio che sono senza stipendio. Al massimo un rimborso spese. Che non serve assolutamente a niente. Se non hai alle spalle una famiglia che ti appoggia, arriva il momento in cui devi fare delle scelte. O inseguire i sogni oppure arrenderti a un lavoro che ti dia da guadagnare. Può essere frustrante a volte.»

Se volete saperne di più su questo libro, potete cliccare qui.

LO STAGE? TE LO PAGA LO STATO

Ieri questo blog ha compiuto un mese. Devo dire che l'inizio di questa vita da "blogger" è stato molto interessante per me. Spero davvero che questo possa diventare ogni giorno di più un luogo di dibattito e discussione, aperto e vivace, per fare lucidamente il punto sulla situazione sullo stagismo in Italia.

Ok, archiviati i convenevoli per il "compimese" del blog, passo a riflettere su una notizia di qualche giorno fa. Non so ancora bene cosa pensarne: sono abbastanza perplessa.


FINANZIARIA: PRODI, STAGE PER 30 MILA NEO-LAUREATI DEL SUD
(AGI) - Roma, 29 set. - La finanziaria prevede, “per il Mezzogiorno, finanziamenti per ’stage’ di sei mesi per 30mila neolaureati e un assegno alle imprese se lo stage si trasforma in un’assunzione”. Lo ha annunciato il premier Romano Prodi.

La prima reazione è stata, come forse prevedibile, di contentezza. 30mila giovani avranno un minimo di rimborso spese (circa 400 euro al mese, mi pare di aver capito) per il loro lavoro da stagisti. Al sud, poi, dove trovare lavoro è ancor più difficile.
Però poi ho cominciato a meditare. Ma è giusto che lo Stato paghi di tasca sua gli stagisti? Lo sarebbe, certamente, se fossero i suoi stagisti. Se lavorassero cioè nelle amministrazioni, negli uffici pubblici. Ma che lo Stato paghi il rimborso spese a stagisti che lavorano in imprese private... mi sembra un po' assurdo, francamente: l'ennesima agevolazione alle imprese.
Invece di affrontare in maniera forte il problema dello stagismo, regolamentando questo ambito anche dal punto di vista delle retribuzioni, lo Stato preferisce dare questo regalino-contentino che soddisfa un po' le imprese, un po' i ragazzi, un po' l'opinione pubblica buonista.
Insomma, non sarebbe meglio che lo Stato dicesse alle imprese "Lo stagista lo devi pagare almeno tot, perchè il suo lavoro crea ricchezza alla tua attività", piuttosto che "Ok ok, per stavolta pago io"?... Sento puzza di ritorno a uno stato assistenzialista, e non mi piace.

sabato 29 settembre 2007

LO STAGETTO PRIMA O POI TOCCA A TUTTI

Il titolo di questo post, lo confesso, non è mio. E' una frase irresistibile trovata sul blog di Roberta Martinelli, alias la "stakastagista": «Uno stagetto prima o poi tocca a tutti».
La prendo in prestito per una precisazione: io non penso che lo stage sia il male assoluto. Lo stage può avere, se usato con criterio, alcuni pregi: può traghettare noi giovani nel mondo del lavoro, offrendoci un'altra prospettiva rispetto a quella dell'università. Può essere l'occasione per metterci in mostra, dimostrare al capo le nostre capacità e convincerlo ad assumerci. Può essere anche l'occasione, di converso, per "assaggiare" un certo ambito lavorativo e scoprire che non fa al caso nostro, che nella vita vogliamo fare altro.
Il problema è che negli ultimi 4-5 anni lo stage in Italia è stato utilizzato in maniera completamente scriteriata. Così anche il suo principale obiettivo, quello di mettere in contatto aziende e giovani per poi
concretizzare un'opportunità di lavoro vera (ergo adeguatamente retribuita), si è perso nel magma. Oggi lo stage serve praticamente solo a fornire manodopera a basso costo al mondo dell'imprenditoria.
Vedo troppi giovani valenti che regalano la loro forza lavoro negli stage. Presi uno per uno, non ci sarebbe alcun problema. Presi tutti insieme, sono il sintomo di un'Italia che non va, che per trascinarsi avanti deve obbligare i suoi giovani migliori a passare qualche mese (talvolta qualche anno) di
«purgatorio». Presi uno per uno, forse avrebbero davvero la possibilità di imparare, venire apprezzati e trovare sbocchi lavorativi soddisfacenti. Presi tutti insieme, equivalgono soltanto a centinaia di migliaia di ore di lavoro gratuito, prestato però non in associazioni non profit, bensì in aziende e società assolutamente profit: equivalgono a tanti burattini, obbligati a piegarsi allo (anzi, agli) stage come rito di iniziazione senza il quale non è pensabile di poter trovare uno straccio di lavoro normalmente retribuito.
Mi raccontava l'altro giorno una ragazza: «Faccio lo stage in una società di consulenza. Al cliente mettono in conto, per ogni mia ora di lavoro, un centinaio di euro. Si intascano i soldi e a me danno solo il rimborso spese fisso».

Questo è giusto? Questo dobbiamo considerarlo un'opportunità? Secondo me, no.
Dunque, lo stagismo va regolamentato, perchè enti e aziende possano continuare ad usarlo, ma debbano smettere di abusarne sulla pelle dei giovani.

venerdì 21 settembre 2007

STAGISMO, SI MUOVE L'UNIONE EUROPEA / 2

E vabbè, Panorama.it ci era arrivato con una decina di giorni di anticipo...
Finalmente la notizia appare anche su un'altra importante testata. Ecco l'articolo di Repubblica, a firma Tullia Fabiani: si intitola «Stage, atto d'accusa delle Ue: "Basta lavoro mascherato da studio"».
L'attacco è fulminante: «Combattere l'abbandono scolastico, favorire l'inserimento nel mondo del lavoro e, soprattutto, controllare i tirocini: tempi, condizioni, e obiettivi reali di uno stage.
Basta con il lavoro mascherato da tirocinio; basta con i rimborsi mancati, i rinnovi senza garanzie e i passaggi da un'azienda all'altra senza mai ottenere un lavoro vero».
Proprio quello che si dice in questo spazio virtuale, proprio il messaggio che provo, insieme a voi che mi leggete, a far passare. «Non è possibile che ci siano giovani che saltano da uno stage all'altro senza avere un lavoro vero. Questo diventa dumping sociale e va combattuto»: lo scrive nel suo rapporto la commissione incaricata dall'Unione Europea di indagare sulla questione. La stessa commissione promette presentare un «
Codice di buona condotta per i tirocini», che però purtroppo non sarà vincolante per le aziende. Servirà a qualcosa?

Per chi avesse voglia di approfondire, a questo link c'è (in francese) il testo completo dell'UE.

martedì 18 settembre 2007

MA I SOLDI PE' CAMPÀ, CHI CE LI DÀ? LA BORSETTA DI PAPÀ...

Poco più di due settimane che ho aperto questo blog. E la questione principale è lì, chiara e cristallina, talmente ineludibile che è impossibile ritardare ancora un post specifico al riguardo.
La questione sono i SOLDI. Vile denaro, sterco del demonio. O, meno puritanamente, la misura di - quasi - tutte le cose.
Qualsiasi persona svolga un'attività dovrebbe avere diritto ad essere retribuita per il suo lavoro. A meno che non rinunci di sua spontanea volontà, come nel caso del volontariato.
Ecco perchè gli stage sono una stortura del mercato del lavoro: perchè gli stagisti sono persone che producono. Non sono passivi, non stanno lì "per imparare": stanno lì, molto semplicemente, per lavorare. Come tutti gli altri. Fanno lavoro d'ufficio, telefonano, compilano documenti, spesso anzi eseguono lo stesso identico lavoro dei loro colleghi più fortunati (con contratti migliori). Quindi: gli stagisti sono persone che producono e che non vengono pagate per quello che producono.
Chi paga per loro? Le famiglie, è ovvio. Famiglie generose... o forse solo rassegnate alla realtà: oggi si sa già che uno che finisce il suo percorso universitario non potrà essere in grado, per qualche mese - talvolta per anni - di rendersi economicamente autonomo.
Ora, oltre agli studenti fuori sede, ci sono pure gli stagisti fuori sede. Bell'affare.
Io per il mio primo stage dopo la laurea mi sono dovuta trasferire a Milano. Dove una singola in un appartamento in condivisione con altri ragazzi non costa meno di 500 euro. Per lo stage me ne davano 250, lordi. Fosse stato per loro, avrei avuto dormire su mezzo letto. Per fortuna l'altro mezzo me lo pagava papà.

martedì 11 settembre 2007

STAGISMO, SI MUOVE L'UNIONE EUROPEA

Il problema dello stagismo irrompe nell'agenda politica dell'Unione Europea...
Leggete questo articolo , scritto dalla
giornalista Maria Spigonardo e apparso oggi su www.panorama.it. Vi si legge: "l’opportunità di uno stage rappresenta per molti ragazzi l’unica via d’uscita. E di entrata nel mondo del lavoro. Ma è la stessa Commissione, in un documento pubblicato questa settimana, a sottolineare i risvolti negativi che un’esperienza del genere può avere. Così ha deciso di rivolgersi direttamente agli Stati membri per regolare con urgenza gli stage anche a livello legale".
Trovo molto importante che il dibattito si apra anche all'Europa e sopratutto che venga ripreso dai media!

sabato 8 settembre 2007

LO SCIOPERO DEGLI STAGISTI

Eccomi di nuovo a scrivere.
Ringrazio innanzitutto le tante persone (più di cento in una sola settimana! Bello!!) che sono venute a curiosare in questo nuovo blog, specialmente quelle che hanno deciso di contribuire alla discussione appena avviata lasciando un commento.
Devo dire che sul piatto ci sono già tanti argomenti stimolanti per il dibattito.
Prendo quello che è a mio avviso il più pressante: di chi è la responsabilità per questo stato di cose?
Katia, da giovane imprenditrice, dice: attenzione a non farvi abbindolare da chi vi propone uno stage, nella maggior parte dei casi non ha alcuna intenzione di assumervi - vuole solo sfruttarvi per un po'.
Ha ragione, ma è vero anche quello che scrive Virginia: a volte non viene offerto molto altro, e allora ai giovani neolaureati non resta che rassegnarsi ad accettare lo stage, cercando di imparare il più possibile e mettere poi a frutto l'esperienza.
Per carità, è lecito che le aziende e gli enti usino lo strumento dello stage, anche tenendo conto del fatto che il lavoro in Italia costa enormemente più che altrove. Prendere uno stagista, pagarlo poco per 2 o 3 mesi, formarlo in vista di assumerlo: questo andrebbe benissimo.
Peccato che però le aziende e gli enti abusino di questo sistema, e che spesso prendano stagisti di continuo, uno via l'altro, senza la vera intenzione di formarli nè tantomeno di assumerli: solo per avere manodopera molto qualificata a costo molto contenuto (per non dire NULLO).

Ma voglio dire anche un'altra cosa, forse meno popolare, ma a mio avviso altrettanto vera: la responsabilità non è solo di chi offre gli stage.
La responsabilità è anche di chi li accetta, contribuendo suo malgrado ad alimentare questo mostruoso "mercato" che allunga a dismisura il momento in cui una persona può avere uno stipendio dignitoso e smettere di chiedere la paghetta ai genitori per potersi mantenere (magari in un'altra città).
E infine, a mio avviso, la responsabilità è anche di una certa mentalità italiana, un po' paternalista un po' gerontofila, per la quale in fondo è giusto che un giovane "subisca". Secondo il triste concetto, per fortuna ignoto nei paesi anglosassoni, che un giovane che entra nel mondo del lavoro deve prima popparsi un bel po' di pedate e umiliazioni, e solo dopo può rivendicare il diritto ad essere riconosciuto (e pagato) per quel che sa fare e vale.
Anche i genitori più illuminati e saggi, quando per l'amato e magari anche brillante figliolo arriva il fatidico momento di trovare un lavoro dopo la laurea, consigliano "di avere umiltà, cominciare dal basso, accettare lo stage". Consapevolmente o meno, si rendono corresponsabili della malsana situazione.
Voi che ne pensate? Da che parte pende la bilancia delle responsabilità?
E se al posto dello sciopero fiscale proponessimo uno sciopero degli stage?

sabato 1 settembre 2007

STAGISTI DI TUTTO IL MONDO, UNIAMOCI

Oggi smetto di essere una stagista. Per sempre, spero: ma non si può mai dire. Comunque, con oggi smetto i panni di stagista e indosso, per la prima volta, quelli di blogger. Ho deciso di aprire questa pagina per me e per tutti quelli che come me si sentono a disagio guardando il mondo del lavoro italiano, e si incazzano per come i giovani vengono trattati.
Ho 28 anni e al mio attivo 5 stage. Uno, il primo, è stato entusiasmante. L'ho fatto durante l'università, avevo 22 anni e uscire dalle aule della Sapienza per stare qualche settimana a contatto con il mondo del lavoro "vero", nella redazione di un telegiornale, mi è servito molto. Il secondo è stato la prima opportunità di "lavoro" dopo la laurea. Non lo dico per vanteria, ma per dovere di cronaca: una laurea conseguita con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. Due lingue parlate molto bene, intelligenza nella media, perfino discreta presenza. Eppure, tutto quel che nel 2004 il mondo del lavoro italiano ha saputo offrirmi come "primo impiego", dopo 5 anni di università e con un buon curriculum, è stato questo: uno stage. 250 euro lordi al mese, per tre mesi. Il lavoro è andato bene, ho imparato tanto, perfino rimediato un contratto a progetto per altri 4 mesi, dopo.
E poi si arriva agli stage recenti. Ho scelto di provare la carta del giornalismo, sono entrata in una buona scuola. In un altro post, prima o poi, vi racconterò come funziona nel mio mondo, e perché gli aspiranti giornalisti siano costretti a fare il praticantato a scuola anziché nelle redazioni. Comunque, torniamo al punto principale: la scuola di giornalismo che ho frequentato prevedeva stage obbligatori in testate giornalistiche. E così, uno dopo l'altro ho fatto i miei tre stage: due completamente a titolo gratuito, il terzo retribuito con un rimborso spese di 250 euro al mese.
Ma chi è uno stagista? Che requisiti deve avere? Che compiti deve svolgere in un ufficio? Quali responsabilità può avere sulle sue spalle?
In teoria, uno stagista è uno che ne sa talmente poco da non avere diritto ad un contratto normale (che per legge prevede un periodo di prova). Uno che proprio non sa niente, e che un'azienda o un ente raccolgono caritatevolmente dalla strada, per insegnargli un mestiere. Uno stagista è uno che deve essere seguito in ogni suo passo dal "tutor", perché da solo non sa fare niente.
In pratica, cioè nella realtà di tutti i giorni, lo sapete meglio voi di me chi è uno stagista. Nella maggior parte dei casi è laureato, spesso a pieni voti. Parla una o più lingue, magari ha fatto anche l'Erasmus da qualche parte. Uno stagista, soprattutto, spesso ha già lavorato (magari con altri contratti di stage). Non è affatto "digiuno", sa come si lavora, e lavora come e più dei suoi colleghi di scrivania, quelli che però sono ben tutelati da un contratto. Il suo "tutor" il più delle volte è semplicemente il suo capo, che gli assegna i compiti come fa con gli altri colleghi.
Ecco chi è lo stagista, in Italia: uno che lavora come gli altri, ma che non viene pagato adeguatamente né tutelato da un contratto.
Ecco perché ho aperto questo blog. Basta subìre: cominciamo a raccontare le nostre storie. Contiamoci. Per me siamo tanti. E l'unione, da che mondo è mondo, fa la forza.