sabato 8 settembre 2007

LO SCIOPERO DEGLI STAGISTI

Eccomi di nuovo a scrivere.
Ringrazio innanzitutto le tante persone (più di cento in una sola settimana! Bello!!) che sono venute a curiosare in questo nuovo blog, specialmente quelle che hanno deciso di contribuire alla discussione appena avviata lasciando un commento.
Devo dire che sul piatto ci sono già tanti argomenti stimolanti per il dibattito.
Prendo quello che è a mio avviso il più pressante: di chi è la responsabilità per questo stato di cose?
Katia, da giovane imprenditrice, dice: attenzione a non farvi abbindolare da chi vi propone uno stage, nella maggior parte dei casi non ha alcuna intenzione di assumervi - vuole solo sfruttarvi per un po'.
Ha ragione, ma è vero anche quello che scrive Virginia: a volte non viene offerto molto altro, e allora ai giovani neolaureati non resta che rassegnarsi ad accettare lo stage, cercando di imparare il più possibile e mettere poi a frutto l'esperienza.
Per carità, è lecito che le aziende e gli enti usino lo strumento dello stage, anche tenendo conto del fatto che il lavoro in Italia costa enormemente più che altrove. Prendere uno stagista, pagarlo poco per 2 o 3 mesi, formarlo in vista di assumerlo: questo andrebbe benissimo.
Peccato che però le aziende e gli enti abusino di questo sistema, e che spesso prendano stagisti di continuo, uno via l'altro, senza la vera intenzione di formarli nè tantomeno di assumerli: solo per avere manodopera molto qualificata a costo molto contenuto (per non dire NULLO).

Ma voglio dire anche un'altra cosa, forse meno popolare, ma a mio avviso altrettanto vera: la responsabilità non è solo di chi offre gli stage.
La responsabilità è anche di chi li accetta, contribuendo suo malgrado ad alimentare questo mostruoso "mercato" che allunga a dismisura il momento in cui una persona può avere uno stipendio dignitoso e smettere di chiedere la paghetta ai genitori per potersi mantenere (magari in un'altra città).
E infine, a mio avviso, la responsabilità è anche di una certa mentalità italiana, un po' paternalista un po' gerontofila, per la quale in fondo è giusto che un giovane "subisca". Secondo il triste concetto, per fortuna ignoto nei paesi anglosassoni, che un giovane che entra nel mondo del lavoro deve prima popparsi un bel po' di pedate e umiliazioni, e solo dopo può rivendicare il diritto ad essere riconosciuto (e pagato) per quel che sa fare e vale.
Anche i genitori più illuminati e saggi, quando per l'amato e magari anche brillante figliolo arriva il fatidico momento di trovare un lavoro dopo la laurea, consigliano "di avere umiltà, cominciare dal basso, accettare lo stage". Consapevolmente o meno, si rendono corresponsabili della malsana situazione.
Voi che ne pensate? Da che parte pende la bilancia delle responsabilità?
E se al posto dello sciopero fiscale proponessimo uno sciopero degli stage?

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Guarda mi capita di rado di trovare persone che come me credono che la colpa sia anche e soprattutto dei giovani: finchè noi accettiamo il gioco continua.
Io sto finendo l' ultimo anno di Università e giuro che mai e poi mai dopo andrò a finire in uno stage!Se lo stage prevede un rimborso si, tanto ho 23 anni e non devo mantenere nessuno..ma farmi sfruttare no!
Hai detto bene..dove sta scritto che dobbiamo accettare di tutto solo perchè giovani???

simone
www.ilcomunicatore.wordpress.com

Anonimo ha detto...

il meccanismo è perverso: io suggerirei agli allievi delle scuole di giornalismo di rifiutarsi di andare in stage la prossima estate, lasciando le redazioni a fare i conti con le carenze d'organico.
sarebbe un duro colpo per tutte le testate italiane, e forse qualcosa cambierebbe.
se gli studenti delle scuole di giornalismo devono obbligatoriamente fare pratica estiva per ottenere il praticantato possono restare a farla nei giornali editi dalle stesse scuole, così da non rischiare di perdere il praticantato.
sai che ridere se improvvisamente i giornali non potessero più contare sui 20-30 stagisti che d'estate ripopolano la redazione?!

Eleonora Voltolina ha detto...

Caro Simone
ti ringrazio di essere intervenuto nella discussione. Tu sei un po' più giovane di me e giustamente sei più "possibilista" per quanto riguarda lo stage. Anch'io sono rimasta entusiasta - a 22 anni - del mio primo stage, l'ho fatto nell'ambito dell'università e non mi sono affatto sentita sfruttata. Sono stati gli stage successivi a rendermi sempre più perplessa sul meccanismo dello stage.
Perchè, come potrai immaginare, una cosa è fare uno stage da studente, a 22-23 anni. Un'altra è fare uno stage dopo la laurea, quando di anni se ne hanno 25 o addirittura 30. A quell'età (giustappunto la mia, adesso), si scalpita perchè le proprie capacità vengano riconosciute, anche economicamente. Non è giusto che, con la "scusa" dello stage, le aziende possano disporre di un così ampio bacino di professionisti (giovani, certo, ma non incapaci) da sfruttare a piacimento per mesi, se non anni.
Fai bene a dire che non vuoi farti sfruttare: ti auguro di riuscire a tener fede alle tue parole, e avere la forza di rifiutare le tante offerte di stage che ti pioveranno addosso... con rimborsi-spesa ridicoli come 200 o 300 euro al mese!!
Ciao, spero di rivederti presto sul mio blog.

Eleonora Voltolina ha detto...

Caro anonimo (peccato che tu non abbia indicato nemmeno un nome!), ho promesso che un giorno dedicherò un post alla specifica problematica dello stagismo nel mondo del giornalismo, e presto lo farò.
Per rispondere brevemente al tuo suggerimento, la mia impressione è che la maggior parte delle testate non abbia così tanto bisogno degli stagisti estivi. Solo in alcuni casi (come per esempio fino all'anno scorso il Corriere della Sera, con un comportamento antisindacale che infatti scatenò le ire del cdr) gli stagisti vengono usati per tappare i buchi d'organico.
Quindi non so quanto le centinaia di allievi delle scuole di giornalismo ci guadagnerebbero, a rifiutarsi di andare in stage.
Anche perchè le testate della scuola mica pagano. Gli stage agli allievi servono per costruirsi quella rete di relazioni che permetterà loro, finita la scuola, di avere un contratto o almeno una collaborazione.
Detto questo, per il mondo del giornalismo a mio avviso vale lo stesso discorso che per tutti gli altri ambiti lavorativi: gli stage dovrebbero essere pagati con un compenso minimo DIGNITOSO. Per me, non meno di 600 euro al mese per un "tempo pieno". Che ne pensate?

Anonimo ha detto...

Condivido questa visione delle cose, più attiva e non pianiucolosa! Ci sono certamente tantissime ragioni che fanno il mercato del lavoro, però sarebbe sbagliato non considerare la parte nostra, ovvero di chi accetta. Io penso che un datore di lavoro che ha investito sei mesi a formarti durante il tuo stage, se è così contento da proporti di restare, ma sempre come stagista non o pochissimo retribuito, ci stia solamente "provando": in effetti non ha molto senso ricominciare sempre da zero con persone nuove (tant'è vero che propone di prolungare lo stage) e secondo me sarebbe anche disposto a pagare. Ma effettivamente, finché si accetta di lavorare per nulla o quasi, non c'è obbiettivamene ragione per proporre qualcosa di meglio!

Eleonora Voltolina ha detto...

Grazie Matthieu di essere intervenuto nella discussione.
Il problema principale dell'accettare o no lo stage secondo me risiede nella "concorrenza". Specialmente per mestieri "ambiti", (come quelli di manager, creativo, comunicatore, perchè no anche giornalista) la fila di ragazzi iperqualificiati disponibili a fare lo stage è pressochè infinita! Quindi, stando così le cose, è ben difficile per uno dire "No, non accetto lo stage, io valgo di più": perchè sa benissimo che il posto lasciato libero da lui verrà subito occupato da qualcun altro, più disposto a fare il "sacrificio" di qualche mese di stage ingiusto e sottopagato.
Per questo nel commento precedente auguravo a Simone di riuscire a tener fede alle sue parole (lui diceva "giuro che mai e poi mai dopo andrò a finire in uno stage (...) farmi sfruttare no!"). Glielo auguravo perchè è difficile, molto difficile dire di no. Perchè hai sempre l'impressione, rifiutando uno stage, di peccare di superbia: e soprattutto hai una dannata paura che la tua occasione te la freghi un altro.
Dovremmo tutti capire che lo stage non è un'occasione, ma uno strumento occulto di sfruttamento. Ma non è così facile.

Anonimo ha detto...

preferisco restare anonimo, ma ti rispondo ugualmente.
perchè non è vero che i giornali non hanno bisogno di stagisti d'estate. ti assicuro che ci contano, tanto che qui dove sono io, nel piano di presenze estive fatto non oltre il mese di maggio, c'è dettagliatamente scritto "stagista". lo "stagista" entra abusivamente e anonimannte a far parte in pieno della redazione, con tanto di turni scritti alle pareti.
io per fortuna sto per uscire da questo tunnel, mase posso dare un consiglio ai praticanti suggerisco davvero di non andare in stage l'anno prossimo, perchè:
1) a parte pochissime testate, nessuno paga gli stagisti. quindi viene a cadere quello che scrivevi a proposito del fatto che facendo lo "stage" presso il mensile della scuola non prendi un euro: non lo prendi nemmeno altrove!
2) i contatti che ti fai alla fine dello stage ti daranno una pacca sulla spalla e ti saluteranno. non è così automatico strappare collaborazioni, e soprattutto non è che si può vivere di collaborazioni. sembrano più un'elemosima. secondo me fare uno stage per puntare a una collaborazione da tot euro a pezzo è umiliante, soprattutto per chi ha una laurea, due master e anni di gavetta alle spalle.

Eleonora Voltolina ha detto...

Caro Anonimo
mi dispiace sempre di più che tu preferisca rimanere anonimo... perchè stai dando veramente spunti di riflessione molto interessanti in questo mio neonato blog.
Io ti parlo per quel che ho visto e so: nelle testate dove io e i miei amici/compagni abbiamo fatto lo stage, raramente si può dire che "senza lo stagista non sarebbero riusciti a far uscire il giornale ad agosto".
Sarà perchè d'estate i giornali han meno pagine, sarà perchè ormai tutte le testate hanno schiere di collaboratori esterni... Comunque, la mia esperienza è che nessuno stagista era così "fondamentale" nell'economia quotidiana del giornale o della televisione.
Sempre la mia personale esperienza mi porta ad affermare che quasi tutti coloro che han fatto stage poi si sono ritrovati perlomeno con una piccola collaborazione tra le mani, e non solo con una pacca sulle spalle. Per questo dicevo che per un allievo di una scuola di giornalismo è importante entrare almeno per qualche mese nelle testate "vere", per costruirsi quei contatti che poi serviranno per il futuro. Umiliante essere pagati "a pezzo"? Forse hai ragione. Ma sempre meglio che non esser pagati per niente.
Comunque su una cosa sono pienamente d'accordo con te: ai giornalisti praticanti che vanno in stage dovrebbe essere corrisposto un compenso adeguato. E' vergognoso che la maggior parte delle testate non lo preveda.

Anonimo ha detto...

la verità è una sola: perchè dovrebbero pagarci per fare lo stage se addirittura ci ammazziamo tra di noi pur di farlo (gratis)?!
sai benissimo che ci sono lotte cruente per accaparrarsi le testate migliori...è una lotta tra poveri, ci prendiamo a capelli per andare a lavorare gratis...lo capisci anche tu che i primi a sbagliare siamo noi, i primi a far girare il mondo alla rovescia siamo noi?!
per questo propongo lo sciopero, perchè sarebbe una rottura netta, un modo di invertire la rotta.
nessuno verrà mai a pagarci per uno stage se ci sarà qualcuno disposto a farlo gratis...così come nessuno verrà mai ad alzare i compensi dei collaboratori se ci sarà gente disposta a scrivere per 5 euro a pezzo.

Eleonora Voltolina ha detto...

Per molti versi hai ragione. Del resto sono la prima ad aver ammesso, nel mio post, che parte della responsabilità di questa situazione è proprio nostra: siamo noi che, accettando ogni tipo di stage, sviliamo il nostro lavoro e ci mettiamo a disposizione dei nostri sfruttatori.
Ma il discorso non vale solo per il giornalismo: vale in tutti gli ambiti lavorativi "d'élite"! Posti di lavoro ambiti, per i quali la gente è disposta a fare sacrifici. Così lo stage diventa un "sacrificio tra i tanti", un dazio da pagare per essere ammessi in quell'agognato mondo del lavoro. Giornalismo, pubblicità, pubbliche relazioni, marketing, management: sono solo alcuni degli ambiti professionali per cui i ragazzi - noi compresi - si accapigliano. E i datori di lavoro si sfregano le mani: non gli pare vero di avere la lista d'attesa di gente disponibile a lavorare per poco o niente!
Io voglio battermi contro questa situazione, ma non concentrandomi esclusivamente sullo stagismo giornalistico.
Esistono situazioni ben peggiori in cui ragazzi della nostra età sono costretti ad accettare stage. Ci sono altre realtà questo strumento è usato ancor più vergognosamente. Muore un operaio cadendo da un'impalcatura, e si scopre che era uno stagista. Uno stagista in un CANTIERE?? Ma stiamo scherzando?
Oppure gli annunci sui giornali: si cercano stagisti per call center. Stagisti nei CALL CENTER?? E cosa devono imparare, a tenere la cornetta vicino all'orecchio???
Vergogna, vergogna.
Ecco quel che dico. Che la protesta deve essere UNIFICATA. Perchè tutte le persone che lavorano, specialmente se hanno già conseguito una laurea e hanno una certà età, devono avere un adeguato compenso.
Basta con questa marea di forza lavoro gratuita. Dobbiamo trovare un modo di arginare l'emorragia.

Anonimo ha detto...

La principale via per superare l'utilizzo perverso degli stage è quello di ricavare risorse uniformando l'età pensionabile a quella degli altri paesi europei e indirizzandole in una riforma degli ammortizzatori sociali in modo che questi siano accessibili a chiunque resta fuori dal modo del lavoro. In questo modo allo stage inutile (non finalizzato all'ottenimento di un contratto o ad imparare) si preferirebbe un corso o un altro stage più utile usufruendo di quei 300-400 euro al mese che la riforma alla quale ho accennato porterebbe nelle tasche dei virtuosi.
Insomma i giovani potrebbero scegliere come e con chi imparare con un decente paracadute.
Detto questo non sono del tutto d'accordo con Eleonora: credo che un giovane, proprio perchè giovane debba accettare di affrontare qualche sforzo in più magari affrontando anche più di 2 o 3 mesi di stage, accettando che ci vuole tempo per imparare, non solo i metodi di lavoro e le nozioni, ma anche a vivere un ruolo subordinato, esperienza preziosa per chi poi guiderà altre persone. Il consiglio ad un'pò di sana umiltà da parte dei genitori italiani mi pare saggio.
Infine non penso che i giovani che accettino di essere "sfruttati" sbaglino e che quindi abbiano una responsabilità in questo meccanismo perverso, loro, spesso, non hanno alternative. Il mercato cambia perchè cambiano le misure macro-economiche di un paese ma di questo ho già scritto