giovedì 1 novembre 2007

FLESSIBILITA' VS PRECARIATO: LA SOTTILE LINEA ROSSA

Lo diciamo chiaro una volta per tutte. C'è una linea rossa che divide la flessibilità dal precariato. E' sottile, a molti fa comodo fingere di non vederla, ma c'è.
Ci sono due modi per chiamare quelle forme di lavoro atipico («contratti strani», li ho ribattezzati io) in cui il lavoratore viene utilizzato per brevi periodi, magari a singhiozzo o «a chiamata», senza garanzie per il futuro. Quando si vuole parlarne in termini positivi si usa «flessibilità»; invece quando si vuole porre l'accento sugli «effetti collaterali» negativi di queste tipologie di contratto si parla di «precariato».
Dove sta la differenza? Nel denaro.
E' una semplice, banale, importantissima questione di soldi.
Il lavoratore flessibile è quello che non patisce la mancanza di un contratto stabile. Guadagna molto, o quantomeno abbastanza, e quindi gli sta bene così. Non teme di «ritrovarsi in mezzo a una strada», con il suo conto in banca è in grado di far fronte a qualche periodo di inattività o alle spese impreviste che possono derivare da una malattia, da una spesa straordinaria del condominio, o ad altre sorprese della vita che comportino esborso repentino di denaro.
Il lavoratore precario non sa come arrivare alla fine del mese. Quasi sempre guadagna meno di mille euro al mese. Vive con angoscia il momento della scadenza del contratto, non sa cosa ne sarà del suo futuro. Spesso per vivere da solo deve ricorrere al sostegno economico dei genitori, che vanno a «integrare» il suo stipendio troppo basso. Se per cocciutaggine o fortuna riesce a pagarsi vitto e alloggio da solo, comunque è consapevole che qualsiasi spesa imprevista lo atterrerebbe, e che in quel caso dovrebbe necessariamente rivolgersi ai suoi per fronteggiarla. La femmina (specie ultra-trentenne) di lavoratore precario, poi, è tristemente combattuta tra la voglia di fare un bambino e la consapevolezza che col suo contratto non avrà né accesso a tutti gli aiuti su cui invece può contare una donna assunta a tempo determinato o indeterminato, né abbastanza soldi per fregarsene di quegli aiuti e farsi una «maternità indipendente».
Solo che di lavoratori flessibili in Italia ce ne sono ben pochi. Lavoratori precari, una marea. E' qui che sta la (solita) anomalia italiana. Altrove se non vuoi dare garanzie a chi lavora per te, lo devi (DEVI) pagare di più. In Italia, invece, lo puoi pagare infinitamente meno. E quello deve pure stare zitto, perchè altrimenti si trova disoccupato. Nel silenzio assordante dei sindacati, che tutelano (e ben oltre il ragionevole) solo quelli con contratti meno strani.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Assolutamente d'accordo con te. E questa linea può essere annullata solo creando un mondo del lavoro produttivo in ogni suo aspetto, anche quello umano. - Arnald

Ilbellodelweb ha detto...

Che bello il tuo diario!
Mi viene voglia di raccontarti la mia esperienza. Considera che io sono ferocemente anticomunista, mi riconosco nel Pd, di cui ho la tessera, cheché ne dica Veltroni e mi sento mlto di centro, anche a favore dello stage: un buon modo per conoscere il tuo personale prima di assumerlo vita natural durante ... quello che non mi piace è ilpessimo uso e consumo che si fa del precariato.

Dopo la laurea e una breve esperienza (in stage) all'Ansa, agli esteri dove facevo il traduttore, ho avuto la mia grande esperienza a La7. 9 mesi di stage. Sveglia alle 3.30 per stare a lavoro alle 5.Prima di Tutti! Ma era la mia grande possibilità. Alla fine mi hanno preso ... dopo 9 mesi. Ma non ho fatto master e niente. Ogg, a 27 anni, lavoro da tre, ho una laurea lunga, di 5 anni, vari anni di studio passati all'estero e un lavoro (che purtroppo non avrò più dal prox mese) che però mi sono sudato risparmiandomi 10 mila euro di master! Ben vengano così gli stage, non lo sfruttamento.
Dam

Eleonora Voltolina ha detto...

Caro Damiano
sono contenta che tu abbia fatto un salto su questo blog e che tu abbia voluto lasciare la tua testimonianza.
Quello che dici rispecchia molto lo spirito del blog. Ben vengano gli stage "veri", quelli in cui c'è una reale prospettiva di crescita e di assunzione. Ma purtroppo oggi quel tipo di stage è raro. La "verità vera" è che il 99% degli stage è inutile, e serve solo ai datori di lavoro per avere gente iperqualificata disposta a lavorare gratis, o per due lire... pardon, euro!
Non pensi che l'intero ambito andrebbe regolamentato? Che andrebbero posti dei paletti per frenare questo sfruttamento, magari prevedendo un limite temporale per gli stage, una retribuzione minima obbligatoria, insomma misure che tentino di frenare l'utilizzo sfrenato e vergognoso dello strumento stage?

Ilbellodelweb ha detto...

In verità sono ancora un po' più pessimista. Penso che in questo paese non ci sia proprio lavoro e lo stage(che secondo me non sarà mai regolamentato, ahinoi) è un palliativo alla mancanza di lavoro. E' un paese senza lavoro, intendo quello vero, non quello retribuito da due euro!

Anonimo ha detto...

ciao eleonora !nel mare della rete sono approdata a qst splendido blog.
aggiungerei una cosa al tuo post...in italia hanno introdotto la flessibilta'(che poi si è trasformata in precarieta' ) con l 'obiettivo di snellire,migliorare e rendere piu"europeo "possibile" il mondo del lavoro ..purtroppo la flessibilita' vale solo per i giovani non per tutti i lavoratori ...ecco la bella fregatura.noi giovani con meno certezze meno soldi in tasca e tanta paura di qst futuro incerto dobbiamo essere brillanti,super preparati,laureaticon lode ,con master e esperienza di lavoro all estero ..per essere pronti a qst meravigliosa esperienza di lavoro flessibile!wow è davvero tutto molto eccitante!
io ho 27anni e non sono alureata.ho fatto una prima esperienza universitaria
sbagliata e poi a 25 ho deciso di ricominciare e di realizzare il mio sogno quello di diventare giornalista ...ma la vedo davvero dura.in italia nn cè possibilita' di sbagliare purtroppo...
scusa il post troppo lungo ..era piu' uno sfogo che un commento ..grazie per la possibilita'.
tornero'

Anonimo ha detto...

Eleonora, sto leggendo tutto d'un fiato tutti i post del tuo recente Blog.

Condivido tutto quello che dici, in particolare che il lavoro "flessibile" deve essere pagato di più!

per far questo basterebbe inquadrare il lavoro precario nei "livelli" e nelle categorie dei contratti nazionali, e fissare (sempre a livello nazionale) uno "spread" sulla retribuzione... ad esempio un 10-15-20% di stipendio in più.

in tal caso l'alternativa tra un contratto "safe" ed uno "brave" sarebbe soggettiva sia per l'azienda che per il lavoratore. Da una parte l'azienda si porrebbe la domanda: "A parità di costo, mi conviene prendere 6 lavoratori per 40 anni oppure prenderne 5 per un anno?"
Dall'altra il lavoratore: "Mi conviene un contratto di un anno a 1.500 euro al mese oppure uno stabile a 1.200 euro al mese?"

insomma, messe così le alternative sono vere e proprie alternative... non come ora che sono merd4 contro cioccolata!

Ilbellodelweb ha detto...

Si, condivido,il problema è il soldo, troppo poco, sic!

Eleonora Voltolina ha detto...

Giovanna, Ugasoft, Damiano...
mi ha emozionato leggere i vostri commenti! Prima di tutto perchè siete nuovi sul mio blog, nel senso che non eravate mai passati prima, o perlomeno non avevate mai lasciato commenti. Secondo, perchè non vi conosco di persona: ed è bello che questo spazio che ho aperto poco più di due mesi fa stia diventando un luogo frequentato non solo "per amicizia" dai miei amici, ma anche "per caso e per interesse" da persone sconosciute.
Sono contenta che abbiate voluto scrivere qualcosa di voi, qualche riflessione.
Damiano lancia una provocazione affermando tout-court "In Italia non c'è lavoro". Invece secondo me c'è. C'è però un divario sempre maggiore tra quelli che ci guadagnano e quelli che vengono "tenuti a stecchetto". I datori di lavoro sono sempre più avidi, forse perchè esasperati dalle tasse troppo alte che si mangiano gran parte dei profitti, forse perchè semplicemente disonesti: così sfruttano al massimo tutte le possibilità di pagare i dipendenti il meno possibile. In Italia, come giustamente ricorda Giovanna, la flessibilità è stata introdotta per "europeizzare" il mercato. Peccato che, complice lo strapotere dei sindacati e l'innato immobilismo della classe politica, chi ha fatto le leggi che regolano il lavoro flessibile si sia completamente dimenticato un paio di cosette. Gli ammortizzatori sociali, per esempio. E così in Italia la flessibilità in sostanza non esiste: esiste solo la precarietà, fatta di stipendi troppo bassi, di aiuti dai genitori, da un frustrante senso di insicurezza rispetto al futuro.
Però, ragazzi, dobbiamo combattere. Dobbiamo elaborare strategie per cambiare questa situazione e riportarla dentro i binari giusti.

Ilbellodelweb ha detto...

Grazie mille del favore che mi hai fatto prima, della mail ;)
(ma teniamolo per noi!)... poi ti scrivo e ti racconto ...

Quanto alla tua risposta, non sono d'accordo. La mia non è una provocazione, nè sono pessimista. In Italia non c'è lavoro per un italiano. C'è lavoro solo se riesci a porti in una prospettiva internazionale.E questa ce l'hai solo se riesci ad aprirti la mente viaggiando.
E' ancora più vero nel campo della professione giornalistica, che oggettivamente è un mercato saturo.

Sì che c'è lavoro, ma solo se ti accontenti. Il secondo step è quello di rischiare con una tua impresa, il terzo è quello (potrebbe essere un blog concorrente al tuo) de LA REPUBBLICA DEI RACCOMANDATI!

Ammortizzatori, flessibilità ... ti dico la verità, ci capisco ben poco,ma mi pare che ci capiscano poco troppepersone per lottare tutte assieme contro il MARCIO SISTEMA, sic!

Anonimo ha detto...

@eleonora
La sottile linea rossa non sta solo nel fattore "denaro", ma si trova nel carattere di ogni singolo ragazzo, e nella sua propensione al costruire o al contrario all'usare.
Pensare che il 99% degli stage sia "inutile" fa testo a se.

Atipica ha detto...

E beh, da precaria doc, che guadagna meno di 1000 euro il mese, si paga cocciutamente vitto e alloggio da sola, ma quando s'è rotta un dente, a 31 anni e sei anni di lavoro, ha dovuto bussare alle porte della pensione di mamma e papà, non posso che essere completamente d'accordo con te.
Ciò che però mi manda fuori dai gangheri, è che spesso il termine flessibilità viene utilizzato per nascondere consapevolmente i dolori del precariato, per fingere e far credere che non esistano.
Bel blog, davvero. ;-)

Eleonora Voltolina ha detto...

Cara Atipica
non posso che contraccambiare il complimento: anche il tuo è davvero un blog interessante, ben scritto e molto frequentato. Sono contenta di averlo "scovato"!
Per quanto riguarda il discorso sulla flessibilità e il precariato, sono davvero convinta che il fulcro del problema stia nelle retribuzioni. Perchè a rigor di logica anche un attore di cinema o un cantante sono "precari": ma chi li ha mai visti disperarsi? Certo, perchè con quel che guadagnano possono stare tranquilli... anche in caso di rottura di denti ;-).
Senza scomodare lo scintillante mondo dello spettacolo, certamente si può essere "free-lance" in molti settori, venir pagati bene per il proprio lavoro e sentirsi felicemente flessibili. Ci sono tante persone a cui le gerarchie e la routine stanno strette, quindi per alcuni può essere addirittura un vantaggio questo progressivo mutamento del mondo del lavoro.
Il vantaggio però si polverizza se si fa la flessibilità "all'italiana". Cioé: tempi lunghissimi per accedere al mondo del lavoro (trafila infinita di stage, per esempio); stipendi molto più bassi della media europea e sopratutto non adeguati al costo della vita nè all'inflazione; divario inaccettabile tra i diritti garantiti a chi ha contratti a tempo indeterminato ei diritti negati a chi ha contratti "con scadenza".
Finchè questi tre elementi non verranno modificati radicalmente, riformando dalle fondamenta il mondo del lavoro italiano, i giovani verranno sempre più tartassati.
E si ritroveranno, come purtroppo è capitato anche a te, a dover bussare a trent'anni suonati alla porta di mamma e papà per fronteggiare qualsiasi spesa imprevista. Con buona pace del dentista, che giustamente i soldi li vuole comunque - da chi è precario, da chi è flessibile, da chi è garantito e da chi è pensionato.