mercoledì 27 agosto 2008

LE PAROLE SONO IMPORTANTI - SULL'ABUSO DELLA PAROLA «FORMAZIONE»

Lo diceva ormai vent'anni fa Nanni Moretti in uno dei suoi capolavori, Palombella Rossa: le parole sono importanti.
E io, che per natura preferisco sempre i fatti alle parole, mi sto convincendo invece che nella vexata quaestio degli stage ci sia una parola davvero importante, attorno alla quale ruota tanta parte di confusione e ingiustia.
La parola è «formazione». Il dizionario spiega:
«Progressiva acquisizione, attraverso lo studio o l'esperienza, di competenze specifiche». La scuola è l'agenzia formativa per eccellenza: ma poi è vero che, tecnicamente, la formazione non finisce mai, perchè chiunque nell'ambito della sua professione deve tenersi aggiornato - ed ecco quindi le radici del concetto di «formazione permanente».
Purtroppo, come spesso accade in Italia, di questo termine si è cominciato ad abusare, di pari passo con l'aumento degli stage che sono altrimenti detti, appunto, tirocini formativi. Tutti. Senza distinzioni.
Col risultato di far passare per formazione anche ciò che palesemente non lo è: cioè per esempio il periodo necessario ad ogni persona - già formata - per ambientarsi in un nuovo posto di lavoro, imparare i meccanismi di quell'azienda, le procedure, e diventare pienamente operativa.
Diventa fondamentale mettere un freno all'utilizzo scriteriato della parola
«formazione». Per gli stage, basterebbe una modifica semplice semplice della normativa: prevedere che solo gli stage fatti in ambito scolastico o universitario possano essere chiamati «formativi». E che tutti gli altri stage, invece, debbano essere definiti (come correttamente si fa, per esempio, nell'ambito del Progetto Fixo) «orientati all'inserimento lavorativo». Affinchè un giovane universitario sia finalmente differenziato - anche a livello lessicale - da un laureato, e la diversa finalità dei tirocini a seconda della formazione pregressa dello stagista sia messa in evidenza.
Perchè un 22enne in uno stage cerca una formazione, mentre un 27enne cerca un lavoro. E le parole sono importanti.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono un po' scettica sulla prima parte dell'articolo. Mi spiego: la parola formazione, una volta usciti dall'università italiana, ha appunto l'accezione di progressiva acquisizione attraverso l'esperienza di competenze specifiche. Lo studio è una cosa che deve essere già data scontata di per sè. Quindi torniamo al concetto di stage come oggi è definito, con l'obiettivo di consentire a un laureato, formato negli studi a livello teorico, di acquisire nella pratica delle competenze. Quindi, se per l'apprendimento a livello teorico si paga durante il percorso di studi frequentando istituti universitari, pubblici o privati, perchè si dovrebbe essere pagati per una formazione a livello pratico, ben più importante della prima? E' questo concetto che non comprendono i giovani.
Sulla seconda parte dell'articolo mi posso trovare d'accordo, con beneficio. Se durante l'iter universitario lo studente venisse formato adeguatamente con stages pratici (gratuiti ovviamente) un'azienda forse, e dico forse, potrebbe valutare diversamente il rapporto da instaurare col giovane laureato. Ma prendere direttamente un giovane che sa solo a livello teorico è inizialmente un costo per l'azienda. Non capisco a tal proposito perchè ci sia la convenzione secondo cui il costo sociale della mancanza di professionalità a livello pratico di chi esce da un'università debba essere scaricato sulle aziende, su cui già gravano molti costi.

Anonimo ha detto...

Hai dannatamente ragione Eleonaora, ma anche noi dobbiamo farci furbi nei colloqui e chiedere sempre tutto lasciando da parte i forse, i se , i ma ed i potremmo che sono un'arma che molti dirigenti usano.
Sin da subito al colloquio bisogna verderci chiaro e quindi chiedere A COSA E' FINALIZZATO LO STAGE, se CI SARA'UN RIMBORSO SPESE e di quale entità e con quale modalità di pagamento, QUANTO TEMPO DELLA NOSTRA VITA SAREMO IMPEGNATI NELLO STAGE, UN MINIMO PROGETTO FORMATIVO sul quale verterà lo stage se è uno stage solo finalizzato alla formazione.
E poi se le condizioni non ci allettano possiamo anche rifiutare dato che è una delle poche armi che abbiamo a disposizione.
Molti pensano, almeno non sto a casa e faccio qualcosa, ma io direi a questo punto è molto meglio fare del volontariato o del servizio civile aspettando proposte più dignitose,piuttosto che farsi sfruttare e fregare e incoraggiare le aziende a proseguire su questa strada perchè poi tanto ci sarà qualcun altro che accetta al posto nostro!
Le conqusite politiche e sociali si fanno se si è uniti !

Anonimo ha detto...

Per Amelye: il tuo ragionamento sarebbe corretto... se all'università i giovani non facessero stage. Ma invece ne fanno tantissimi, come dimostrano anche i dati di Almalaurea che erano stati riportati un po' di tempo fa su questo blog. Se non ricordo male, i dati dimostravano che ormai più della metà dei laureati ha alle spalle almeno uno stage, e che di anno in anno questa percentuale cresce a vista d'occhio. Quindi... Ciò dimostra che i giovani che cercano lavoro hanno sia una formazione teorica sia una formazione pratica... e quindi è ingiusto tartassarli di stage anche dopo la laurea con la scusa della "formazione".

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

x amelye. Io mi stupisco sempre di fronte a questa argomentazione: è matematicamente corretta, ma totalmente assurda. Un vero sillogismo. Un'azienda che assume un giovane assume qualcuno che ha certo meno esperienza, ma che è sicuramente più flessibile, più malleabile, forse più "moderno" nel suo pensiero. Inoltre costa meno... Nell'ottica aziendale, ci deve essere un investimento sul capitale umano, concetto che tante aziende colpevolmente dimenticano, investimento che si è sempre verificato in passato. E i pochi mesi durante i quali l'impiegato rende di meno, vengono poi assorbiti dalla resa successiva, come per ogni investimento. Quella della formazione è semplicemente un modo per scaricare sulla società un normalissimo costo aziendale, con gravi ripercussioni sul circolo economico che deve fare a meno di anni di lavoro di milioni di persone.
Chi non guadagna spende meno, pura logica economica...

Anonimo ha detto...

trovo molto interessante questo post. io ho quasi 30 anni e ho fatto molti stage nella mia vita. continuano a propormeli anche adesso! vorrei fare la pubblicitaria ma per pagarmi l'affitto x ora sono costretta a lavorare in un call center...
maria agnese

Anonimo ha detto...

Gentile Eleonora,

E che cosa mi dici dell’insostenibile leggerezza della parola diritto che ha lasciato progressivamente posto sul mercato del lavoro alla parola opportunità. Oggi quando le aziende si rivolgono ai giovani e/o meno giovani parlano di opportunità lavorativa, opportunità professionale oppure di opportunità formativa.

La parola diritto associata a lavoro è diventata una eresia. Una pretesa che diventa irraggiungibile per un uomo di mezza età, e diventa addirittura una follia se tale pretesa viene avanzata da un giovane. E come se tale parola includesse un ruolo troppo attivo del soggetto che nelle vesti di lavoratore può fare valere una serie di disposizioni legislative affinché la sua posizione venga tutelata.

La parola opportunità associata a lavoro o formazione invece va assai di moda. E come se le aziende, le agenzie formative…diventano le tue benefattrici. Dove tu giovane o meno giovane hai soltanto da guadagnare ovviamente in termini di esperienze. La azienda ti da un opportunità, ma può fare anche meno di te. Tu non puoi fare a meno dell’azienda e pertanto da eterno studente ti aggrappi alle illusioni delle opportunità.

Distinti Saluti
Marco Patruno
generazionep.blog.lastampa.it

Anonimo ha detto...

Be' io non credo che aziende, come molte Italiane-non voglio pensare tutte, sono ottimista_che non investono , non solo sui giovani lavoratori, ma anche sulla ricerca e sulle innovazioni,non possano avere futuro a lungo andare sul mercato internazionale e sono destinate a fallire.
Purtroppo gli imprenditori italiani si barricano dietro il corporativismo e gli agganci politici pensando al guadagno a breve.
Ma nel resto del mondo non funziona così, ed il consumo degli italiani, di contro, in seguito all'incertezza lavorativa ed economica, va calando sempre più.

Eleonora Voltolina ha detto...

Il discorso di Matteo, ripreso anche da Ghibellina nell'ultima parte del suo commento, apre una riflessione importante.
In effetti, ritardando in maniera così vistosa il momento in cui un giovane comincia a percepire uno stipendio vero si crea un domino di disastri. Il primo: il ragazzo crescerà più lentamente, resterà a vivere coi genitori più a lungo, sarà più facilmente preda di frustrazione e depressione per il fatto di avere 25-30 anni e non essere ancora in grado di mantenersi da solo. Il secondo: il ragazzo non avrà soldi da spendere, e quindi da immettere nel circuito economico italiano. Se è fortunato, potrà usare quelli dei genitori (eppure che un trentenne riceva la paghetta, non dovrebbe suonarci strano?). Se non è fortunato, rimarrà tagliato fuori, e di riflesso non potrà contribuire appunto ad alimentare il circuito economico.
Purtroppo in Italia consideriamo "normale" che le famiglie provvedano alla prole ben oltre il ragionevole. In altri Paesi europei è inconcepibile che, a due o tre anni dalla laurea, il figlio abbia ancora bisogno dei genitori per pagare l'affitto, andare in vacanza, comprarsi vestiti!
E naturalmente molte aziende giocano su quest'abitudine tutta italiana del "mantenimento fuori tempo massimo", e si dicono: perchè dovrei pagare questo ragazzo, se tanto c'è la famiglia che provvede ai suoi bisogni? Gli offro uno stage a 200 euro al mese, e poi si vedrà.
E i ragazzi accettano, sapendo di poter contare sulla famiglia - perlomeno per i bisogni primari. Così facendo, si crea un grave danno all'economia italiana, perchè si tengono centinaia di migliaia di potenziali consumatori fuori dalla porta. Ma sembra che troppe aziende non sappiano guardare al di là del proprio naso, purtroppo.

Anonimo ha detto...

per la Sig.ra Amelye k. Francamente rimango allibito dalla crudeltà sociale del suo ragionamento. Ho da muovere alcune inevitabili critiche. Il concetto, cito testualmente: "per l'apprendimento a livello teorico si paga durante il percorso di studi frequentando istituti universitari, pubblici o privati, perchè si dovrebbe essere pagati per una formazione a livello pratico, ben più importante della prima? E' questo concetto che non comprendono i giovani", mi fa rabbrividire! La sig.ra Amelye K considera la formazione un business uguale a tutti gli altri. Se io non pago non sono formato se io pago sono formato: la sostanza non mi interessa. La pecunia sancisce la mia formazione. No pecunia no formazione. Chiaramente le aziende non possono sostenere, anzi "sopportare" i costi del giovane. Come ho scritto in miei vecchi interventi secondo i soloni della scuola a cui fa capo amelye k sta alle famiglie regalare alle imprese un futuro dipendente formato. Non ci siamo, e non ci siamo per niente. L'altra grande critica riguarda la parte finale del testo che riporto fedelmente: "E' questo concetto che non comprendono i giovani." Ma chi sono questi giovani? Sono una categoria di esseri che vuole stravolgere lo status quo del mercato? Sono una risorsa o cosa? mi farebbe piacere una risposta in merito. Stagisti, precari di ogni sorta credo sia il caso di superare la fase del dibattito e delle elucubrazioni sociologiche. Dobbiamo dare rappresentatività a noi stessi. Noi non abbiamo sindacati, non abbiamo la forza di esercitare pressione. Noto con piacere che nel post successivo qualcuno propone di fare un passo avanti.
Buona giornata a tutti

Anonimo ha detto...

Il punto è: niente soldi per consumare, calo dei consumi, aziende in crisi. Economia spicciola. Non ci vorrebbe molto a capirlo, eppure... è vero che un giovane non ha esperienza, ma sicuramente è più aggiornato su teconologie, nuove ricerche, etc... ma non gli viene riconosciuto nemmeno questo!