Gabriele, 27 anni, pugliese, mi manda come contributo per il blog il racconto di un colloquio che ha fatto di recente. Laureato in Scienze economiche statistiche e sociali alla Bocconi di Milano, Gabriele ha già alle spalle anche un master e due stage.
Colloquio alle 15 a Piccarello, periferia di Latina. Esco di casa per prendere a Termini il treno delle 13:49 - arrivo previsto ore 14:29.
Mi fanno accomodare in una stanza ricolma di poster dei carabinieri, poi mi chiedono di seguirli in un ufficio. Qui entra un uomo sulla quarantina. «Io non leggo mai i curricula prima del colloquio» esordisce con accento siciliano «Mi parli di lei». Attacco: studi, liceo, l'università a Milano, il master a Roma, alcuni giri per l'Europa e quindi: «Cerco lavoro». Dopo molte chiacchiere inutili, l’uomo arriva al punto: «Ecco in cosa consiste l'offerta di lavoro per cui l'abbiamo chiamata». Prende un foglio bianco su cui fino ad allora aveva solo scarabocchiato. «Noi non facciamo contratti a tempo indeterminato» (gli avevo detto che nella vita volevo qualche sicurezza). «In questi casi infatti gli impiegati smettono di lavorare. Io stesso sono a progetto da otto anni» (contento lui!). Disegna due colonne e continua: «Offriamo un contratto a progetto, ma un po' diverso, migliore. Di solito questo tipo di contratti» e inizia a compilare una delle due colonne «non prevedono malattia, trasferte, buoni pasto, vacanze... Noi invece offriamo ferie, buoni pasto, indennità per le trasferte ma non la malattia» (compila anche l'altra colonna) «Quando ci abbiamo provato, c'è stato un aumento improvviso dei malanni e ovviamente non possiamo permettercelo». Annuisco per compiacere. Mi sto vendendo per il classico piatto di lenticchie...
Dice: «Cerchiamo persone disposte a lavorare come consulenti presso i clienti. Ma questo percorso non assicura crescita professionale e diamo solo 1000 euro lorde al mese. Oppureee» (con enfasi) «potresti entrare nel nostro team informatico come applicativo. Assicuriamo un aumento della produttività esponenziale» (fa una specie di grafico che si impenna) «Offriamo uno stage gratuito di 4-5 settimane, poi 4 mesi a 400 euro e altri 4 a 800 euro. Un corso di formazione di altissimo livello».
Visto che andare un mese a Latina a mie spese mi sembra una follia, decido di smontare le sue affermazioni farlocche attingendo alla grande rabbia che nutro per tutto ciò che sa di lavoro non retribuito o mal pagato, che al sud chiamiamo più onestamente lavoro nero. E inizio la mia riscossa: «Per me le parole hanno un senso, farebbe meglio allora a chiamare quel che sta offrendo non “stage gratuito” ma “stage non retribuito”. Ci sono miei amici che fanno corsi di formazione in azienda e vengono pagati. E comunque questo mi sembra un percorso ad ostacoli». Lui, sulla difensiva: «Ma il nostro è un corso estremamente professionalizzante». Io: «Allora dovremmo anche dirvi grazie?!» Lui: «Certo, perchè quando si esce dall'università non si ha la minima idea del mondo del lavoro e non si hanno conoscenze pratiche». Io: «Per me gli anni di studio hanno avuto un valore. Vuole dire che lei all'università non ha imparato niente?». Lui: «Insomma, le interessa o no la nostra offerta?». «NO» rispondo deciso e, tirando fuori il biglietto del treno, concludo: «Per venire a Latina ho sostenuto delle spese, me le rimborsate?».