venerdì 17 ottobre 2008

QUANDO LO STAGE È LAVORO GRATUITO CAMUFFATO DA FORMAZIONE, BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI FARE CAUSA

A mali estremi, estremi rimedi. E cosa fare quando un'azienda prende uno stagista e lo mette a fare il lavoro di un dipendente, in spregio a tutte le normative sul lavoro? L'unica soluzione, in questo caso, è andare in Tribunale - come suggeriva anche il professor Michele Tiraboschi nell'intervista di qualche giorno fa.
Non tutti ne hanno la forza, il coraggio, la pazienza. Paolo sì. E questa è la sua storia: «Nel 2003, fresco laureato in Economia e commercio, entrai in una banca della mia regione, il Lazio, come stagista». Paolo ha già 29 anni e qualche esperienza lavorativa alle spalle, ma è convinto che uno stage in più possa migliorare la sua formazione. Solo che con sua grande sorpresa fin dal primo giorno la banca decide di piazzarlo allo sportello: «In prima fila davanti i clienti a cambiare assegni, fare versamenti e tutto il resto». E non solo: «Una sera addirittura mi assegnarono al lavoro di stand presso una fiera espositiva: dovevo pubblicizzare i loro prodotti assicurativi!».

Dopo qualche settimana
Paolo comincia a rendersi conto che la situazione non è normale: si rivolge allora alla sua tutor chiedendo «Ma siete sicuri che io possa stare allo sportello? Ma lo sanno all’università?». E si sente rispondere «Sì, sì, non la fare lunga, una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso…».
Alla fine dello stage Paolo decide di far valere i suoi diritti, e si rivolge a un sindacato di categoria. Ma l'avvocato, pur di fronte a un plateale utilizzo improprio dello stage, incredibilmente tenta di dissuaderlo dal fare causa, e in più gli chiede dei soldi per istruire la pratica:
«Scoprii più tardi che mezza banca era iscritta alla loro organizzazione: praticamente il mio era stato il tentativo di cappuccetto rosso di chiedere aiuto al branco dei lupi» ironizza «per essere difeso dal lupo famelico». E anche l'ufficio stage dell'università, chiamato in causa in quanto "ente promotore", preferisce voltarsi dall'altra parte: «Mi liquidarono dicendo che non volevano perdere la banca come partner».
Ma Paolo non si arrende, e trova un sindacato più serio che accetta di patrocinare la causa. Il procedimento si trascina da ben 5 anni e per la prossima primavera è prevista la sentenza. Ora Paolo ha un altro lavoro che lo gratifica:
«Sono riuscito a dimostrare, a discapito di minacce e offese, quello che valgo come professionista. Non voglio solamente vincere la vertenza per ottenere quello che mi spetta, ma per essere da monito a chi in futuro deciderà di sfruttare altre persone». E rivolge un appello a tutti coloro che sono incappati in stage-truffa, e che hanno fatto causa o vorrebbero farla: «Se qualcuno ha avuto esperienze simili, si faccia avanti».

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma non è vergognoso che uno debba aspettare 6 anni per avere giustizia? Io credo che sia anche per questo che molti stagisti sfruttati escludano l'idea di fare causa... Perchè tanto sanno che non avrebbero giustizia immediata!

Anonimo ha detto...

@ stefano

Per cause legali con cifre non grandissime c'è il GIUDICE DI PACE
[ http://it.wikipedia.org/wiki/Giudice_di_pace ]. A differenza della giustizia normale è più rapido, meno costoso (per cifre bassissime ci si può difendere da soli) e più favorevole alla parte lesa.
Per quel che ne so comunque, per le controversie di lavoro bisogna passare prima per il Tentativo di Conciliazione Obbligatoria (ovviamente, se un datore di lavoro o un lavoratore ritengono d'aver subito un danno grave, non ripagabile con una cifra irrisoria, faranno fallire la conciliazione e ricorreranno alla giustizia ordinaria].
Prima di rivolgervi a questi due, contattate un'associazione di consumatori. Cercate anche consigli legali su internet (ci sono siti appositi)

E soprattutto ricordatevi che la giustizia italiana è così iniqua e malmessa che, a meno non abbiate prove schiaccianti (cosa difficile visti i garantismi, le leggi sulla privacy, ecc.), che è meglio accontentarsi d'un piccolo risarcimento ottenuto con una conciliazione, piuttosto che aspirare ad avere giustizia a tutti i costi.

CuocaPrecaria ha detto...

Ciao Eleonora, grazie per il tuo intervento. Ti ho risposto sul mio blog. Poi magari un giorno ti manderò anche io il mio racconto di stage, l'unico che ho fatto, pagato, sette anni fa.
Nel frattempo, se passi da Roma ti offro un involtino!

Abbracci,
CuocaPrecaria

Anonimo ha detto...

Paolo ha avuto palle, non c'è che dire.
Ma non è così facile fare causa al proprio datore di lavoro. Se si viene a sapere che hai fatto una vertenza, rischi di non essere più assunto. Insomma, a volte il gioco non vale la candela. - Arnald

Anonimo ha detto...

Insinuare che chi cerca giustizia facendo causa potrebbe poi avere chissà quali problemi nella sua vita lavorativa sinceramente mi sembra proprio brutto.
Fino a prova contraria, un procedimento giudiziario non è mica una lettera scarlatta ricamata sul mantello! Non è che tutti i direttori del personale di tutte le aziende d'Italia ricevano una circolare "La informiamo che il signor Paolo XY ha intentato una causa ai danni della Banca YZ perchè lo ha sfruttato attraverso uno stage...". E non è che Paolo debba necessariamente scrivere sul suo curriculum di aver fatto causa!
Non capisco bene dove voglia andare a parare Arnald. Forse vuole scoraggiare la gente dal cercare giustizia, paventando l'ipotesi di ritorsioni future da parte di ipotetici datori di lavoro? Mi sembra molto triste.

Diletta