lunedì 29 dicembre 2008

GINEVRA BENINI: ECCO COSA FA L'ISFOL PER GLI STAGISTI ITALIANI

Anche l'Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori) si occupa di stage. Ecco cosa racconta alla Repubblica degli Stagisti Ginevra Benini, responsabile della sezione «Young» di Orientaonline e della collana «Minlavoro-Isfol orientano alla scoperta delle professioni».
Quando l'Isfol ha iniziato a occuparsi di stage?
Nel 1999, all'indomani della legge. Pubblicammo allora un manuale dedicato alle scuole superiori: «Lo stage e il tirocinio nei percorsi scolastici e formativi - Guida alla progettazione». Fu diffuso sopratutto negli istituti tecnici. Poi ci accorgemmo che il settore più scoperto restava quello degli stage promossi dai centri per l'impiego; così nel 2006 preparammo il «Manuale di orientamento per il tirocinante in cerca di lavoro» [a cura della stessa
Benini, ndr - nell'immagine, la copertina]. Il libro venne presentato nel corso di un convegno a cui avevamo invitato i rappresentanti degli oltre 600 centri per l'impiego sparsi sul territorio.
A chi era rivolto questo secondo manuale?
A chiunque fosse uscito d
a un percorso formativo e volesse avvicinarsi al mondo del lavoro attraverso un tirocinio. Anche se poi questa, a dirla tutta, è un'anomalia italiana: in altri Paesi gli stage vengono fatti principalmente durante il percorso formativo, e non dopo! In ogni caso, i ragazzi italiani lo stage lo fanno prima, durante e dopo: e avevano davvero bisogno di un guida, se si pensa che il libro è arrivato alla terza edizione con una tiratura di oltre 20mila copie.
L'ultimo arrivato,
«Progetta il tuo stage in Europa», a che quota è?
Già quasi esaurito: e la tiratura era di circa 5mila copie [il manuale è anche scaricabile qui gratuitamente].
L'Isfol dispone di dati propri sugli stagisti italiani?
No, per la rilevazione sul numero degli stagisti ci affidiamo all'indagine Excelsior di Unioncamere. E' una fonte che consideriamo affidabile, dato il consistente numero di aziende coinvolte nel monitoraggio. Secondo questa indagine, l'anno scorso in Italia sono stati attivati oltre 250mila stage.
La normativa che regola gli stage qui in Italia è adeguata alle esigenze dei giovani che cercano di entrare nel mondo del lavoro?
Sarebbe il caso che venissero diversificati anche a livello normativo i vari tipi di stage: quelli fatti durante le scuole superiori sono ben diversi da quelli fatti durante l'università, e così via. In più, il periodo dei «18 mesi dalla laurea» è davvero lungo, e rischia di intrappolare e danneggiare i ragazzi meno intraprendenti. Ed è vero anche che dello stage oggi molti abusano. Come Isfol noi non possiamo chiaramente sostituirci al legislatore: possiamo però stimolare politiche attive e dare consigli utili ai giovani, affinché traggano il massimo beneficio dagli stage e sappiano come evitare le truffe.

domenica 21 dicembre 2008

FORMAZIONE, PERCHÈ NESSUNO AIUTA I RAGAZZI A SCEGLIERE LA SCUOLA GIUSTA?

Che aiuto ricevono a scuola i ragazzi per decidere cosa fare da grandi? Ben poco, se non nullo. Le superiori e poi l'università vengono scelte più in base all'amico del cuore, ai consigli di mamma e papà, alla suggestione del momento, piuttosto che attraverso una seria riflessione su cosa si vorrà fare nella vita.
Altrove funziona un po' meglio. Per esempio, in Svizzera. Alla fine del ciclo di studi primario, per i ragazzini di 10-11 anni c'è il cosiddetto «anno di orientamento», che sfocia in una prima selezione. In base alla pagella gli alunni vengono smistati tra scuole medie terminali (diventeranno idraulici, elettricisti etc.) e scuole medie professionalizzanti, in preparazione a istituti superiori (che li porteranno a fare gli infermieri, i maestri d'asilo, i geometri, i fisioterapisti etc). I migliori (quelli con la media dell'otto) accedono alle scuole medie preginnasiali, propedeutiche ai licei. All'università infatti si entra solo con un diploma di maturità liceale. C'è da dire però che, se qualcuno si "sveglia tardi" e comincia a studiare magari a 14 anni, può fare uno speciale esame per passare da un ordinamento all'altro.
La cosa interessante è che in ogni scuola opera un consigliere d'orientamento, col quale ciascun alunno fa più colloqui per essere aiutato a scegliere il percorso scolastico migliore. Il consigliere parla con il ragazzo, sonda le sue inclinazioni e aspettative, lo sottopone a test, studia le sue pagelle. Il consigliere dà anche informazioni su quanto è facile - o difficile - trovare lavoro in un determinato settore, in modo che nulla sia ignoto prima della scelta.
In più in ogni scuola c'è un grande librone, sempre consultabile, in cui sono elencati tutti i mestieri possibili e immaginabili, con la spiegazione dei passaggi necessari per arrivarci
. Per esempio sotto la voce "medico" c'è scritto qualcosa tipo «liceo, università, facoltà di medicina per tot anni, poi specializzazione...»; sotto la voce «commissario di polizia» c'è scritto «liceo, università, facoltà di psicologia, specializzazione in criminologia...» e così via.
La missione dei consiglieri d'orientamento è far sì che il passaggio dalla scuola al lavoro sia fluido: operano quindi come
«smistatori» per evitare che troppi vadano all'università senza averne realmente bisogno (o capacità), e che quelli che scelgono di andarci non si concentrino - come purtroppo avviene qui in Italia - sulle stesse facoltà.
Perchè non copiare anche in Italia questo sistema, almeno per quanto riguarda la presenza di consiglieri d'orientamento nelle scuole? Basterebbe anche solo un professore incaricato di dedicare 2 ore all'anno a ciascun allievo.

martedì 16 dicembre 2008

DIMMI CHE LAUREA HAI E TI DIRÒ CHE STAGISTA SEI

Mi scrive Aldo, animatore dell'interessante blog Italiansinfuga, per chiedermi: in cosa sono laureati gli stagisti? Esistono dei dati su quali sono i corsi di laurea che più frequentemente sfociano in stage? Un ingegnere ha le stesse probabilità di fare uno stage rispetto a un laureato in Lettere?
La risposta, purtroppo, è: chi lo sa. Statistiche non ce ne sono: gli stagisti italiani non vengono contati, né suddivisi a seconda di qualche parametro - che potrebbe essere appunto il titolo di studio, l'età, la regione di residenza.
Attraverso questo blog è stata più volte invocata una riforma della normativa sugli stage, che preveda tra le altre cose anche un'indagine annuale su chi sono gli stagisti, da dove vengono e dove vanno, che titolo di studio hanno, in cosa sono laureati, quanti sono. Sulla base di questo tipo di dati i ragazzi potrebbero scegliere con più consapevolezza la facoltà universitaria!
Certo, è intuitivo che alcune lauree - tipo Scienze della comunicazione - siano diventate una sorta di autostrada verso lo stage; mentre altre, in prevalenza scientifiche, lo siano meno. Però ormai nessun «pezzo di carta» mette al riparo dalla folle situazione del mercato del lavoro italiano: anche i blasonati e ricercatissimi ingegneri - che un tempo si favoleggiava venissero assunti ancor prima di finire l'università - spesso si ritrovano nella magica girandola degli stage, dei contratti a progetto e dei lavori sottopagati.
Diventa sempre più cruciale il momento della scelta del dopo scuola superiore. Che fare? Purtroppo oggi la maggior parte dei diciottenni sceglie un po' alla cieca. Ci vorrebbe in ogni scuola italiana un serio servizio di counselling per gli adolescenti, con esperti formatori capaci di orientare non solo,
in una prospettiva a medio raggio, verso la facoltà giusta - ma anche verso il mestiere giusto.

venerdì 12 dicembre 2008

MICHEL MARTONE E LA PAURA CHE PARALIZZA I GIOVANI

L'altro giorno ho acceso Sky Tg 24 e mi sono imbattuta in Michel Martone. Il professore, che potrei definire giovane-e-dalla-parte-dei-giovani, parlava proprio del futuro che si apre per noi qui in Italia: incognite, difficoltà, tranelli, mancanza di meritocrazia, mancanza di fiducia. A un certo punto ha detto una cosa che mi ha colpita: nei 20-30enni c'è tanta paura. Paura di non farcela, di sbagliare, di prendere una strada diversa, di cadere e non riuscire a rialzarsi. Una paura che paralizza anche le menti migliori, che impedisce di prendere in mano la propria vita, rischiare, osare.
E mi è venuta in mente una ragazza che mi ha scritto qualche settimana fa per raccontarmi la sua storia. Laureata in Chimica, assunta a tempo determinato in un'azienda che con questa materia ha ben poco a che fare, si sente frustrata e ha fatto tanti colloqui per trovare un altro posto, ma è stata sempre rimbalzata con le motivazioni più disparate. Ora sta accarezzando l'idea di fuggire all'estero, magari per un master: «Ma ho ancora molti dubbi. La più grande paura è tornare in Italia (perché ho intenzione di farlo) e trovarmi senza un lavoro all'alba dei 30 anni». Nella mail spiega che già adesso durante i colloqui le dicono che è troppo qualificata... «Ho paura di fare la scelta sbagliata partendo» confida «ma non voglio lavorare per tutta la vita in ambienti poco stimolanti e che non mi aiutano a crescere».
Così, mentre sullo schermo guardavo Michel Martone, pensavo a questa 27enne che nella ricca e operosa Lombardia si sente soffocare e non riesce a trovare uno sbocco professionale - malgrado una di quelle lauree scientifiche che tutti invocano. E che è paralizzata dall'angoscia di fare un passo falso, di lasciare il certo per l'incerto, di non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi, di dover rendere conto ai genitori - che la sostengono ma non incoraggiano la sua fuga all'estero - di un eventuale fallimento.
La paura, è vero, troppo spesso cammina al nostro fianco. E a volte, come una nonna con il nipotino, ci frena proprio sul ciglio di una strada, impedendoci di attraversare.

martedì 9 dicembre 2008

QUANTI RAGAZZI TROVANO LAVORO ATTRAVERSO LO STAGE?

Quando si parla di stage, c'è una domanda da un milione di dollari che rimane sempre sospesa nell'aria. La domanda è: servono davvero a trovare lavoro? Sottotitolo: quanti ragazzi vengono assunti dopo aver fatto uno stage?
Ogni tanto arriva qualcuno e la spara grossa. Cifre strombazzate, spesso poco attinenti alla realtà, talvolta basate su indagini e ricerche effettuate su campioni che definire risicati è un eufemismo... Insomma, il legame che lega lo stage al lavoro è nella maggior parte dei casi un po' labile, e certi proclami risultano quasi ridicoli.
In questo mare magnum c'è però uno studio serio, di cui già avevo parlato nel post Per chi suona lo stagista - Non per le piccole imprese. Si tratta dell'indagine Excelsior effettuata annualmente da Unioncamere su oltre 100mila imprese. Unioncamere nell'ultima rilevazione (Excelsior 2008) ha aggiunto una domanda. Ha chiesto a tutte le aziende che avevano preso stagisti nel 2007: quanti ne avete assunti, o intendete assumerne nel corso del 2008? La risposta è: in media, il 12,9%. Il dato fluttua a seconda della grandezza delle imprese: le microimprese (da 1 a 9 dipendenti) e le piccole imprese (da 10 a 49) hanno risposto che prevedono di assumere meno del 10% dei loro stagisti. Per le medie imprese (da 50 a 249 dipendenti) la percentuale sale al 15%. Se poi si considerano le grandi imprese (oltre 250 dipendenti), la percentuale schizza al 28% (segno evidente che qui lo stage è un momento formativo decisamente propedeutico all'assunzione).
Questo è un dato serio. Ha ancora un margine di imprecisione, perchè comprende anche l'intenzione futura di assunzione (che non è poi verificabile, e potrebbe anche risolversi in un nulla di fatto). La percentuale degli stagisti effettivamente assunti è, verosimilmente, un po' più bassa: a naso, potrei dire intorno al 10%.
Ma questo 12,9% ha valore statistico e sociologico. È un dato - forse l'unico, ad oggi - di cui i giornali potrebbero (e dovrebbero) parlare. Perchè è un dato che si basa su fatti, non su chiacchiere o ipotesi.
(Altri due dati emersi da questa indagine sono importanti per conoscere meglio l'universo stage. Il primo: 12 imprese su 100, in Italia, utilizzano stagisti. Il secondo: a livello numerico, gli stage attivati nel corso del 2007 sono stati 256mila. Ma a questi dati sarà opportuno dedicare prossimamente un post intero!).
La questione, a questo punto, è: va bene che solo uno stagista su 10 venga poi assunto? Le aziende della Lista dei Buoni DOC dimostrano percentuali di assunzione dopo il tirocinio nettamente più alte (fino all'80-90%!). Ci si può quindi accontentare del 10-13%?

mercoledì 3 dicembre 2008

STAGE PER I NEOLAUREATI: LE UNIVERSITÀ ITALIANE E LA QUESTIONE DEI 18 MESI DI «COPERTURA»

Le università favoriscono, attraverso gli uffici stage e job placement, gli stage per i loro studenti. E garantiscono anche agli ex studenti una copertura: i famosi 18 mesi dopo la laurea. In pratica, cioè, svolgono il ruolo di enti promotori, pagano l'assicurazione Rc e sbrigano le pratiche con l'Inail.
C'è però una questione controversa: questi 18 mesi vanno intesi come termine ultimo per realizzare gli stage, o semplicemente per attivarli? La questione non è di poco conto.
Nel primo caso l'università intende il limite dei 18 mesi in maniera restrittiva, e copre il neolaureato per stage che vengano non solo cominciati, ma anche terminati entro un anno e mezzo dalla laurea. Nel secondo caso invece l'università accetta di farsi ente promotore per tutti gli stage che vengano attivati prima di quel termine - è il caso, per esempio, di un tirocinio di sei mesi attivato al 17esimo mese dopo la laurea: qui ovviamente la copertura arriva di fatto al 24esimo mese.
Ho svolto una mini indagine su una decina di atenei italiani: ne è risultato che quasi tutti interpretano la normativa in maniera estesa, tranne l'università di Torino. Che spiega: «Il nostro Ateneo mantiene un atteggiamento prudenziale: cerchiamo di far concludere i tirocini entro i 18 mesi. Questa è anche l'indicazione che ci è provenuta dalla Direzione Provinciale del Lavoro».
Dalla Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, specificano - rifacendosi all'articolo 33 della Costituzione:
«Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» - che ogni ateneo è libero di scegliere come regolarsi. E il ministero dell'Università non ha mai fornito agli atenei indicazioni in merito all'interpretazione da preferire: nessuna direttiva o circolare per guidare l'operato dei singoli uffici stage.
Così la maggior parte dei neolaureati per l'attivazione di un tirocinio può contare sulla propria università fino a un giorno prima dello scadere dei 18 mesi; mentre una minoranza un po' iellata ha diritto a una copertura «ristretta».
Io sono molto favorevole al decentramento e alle autonomie locali: però credo che alcuni aspetti andrebbero uniformati, specialmente se creano piccole grandi disparità tra regione e regione, tra città e città, tra laureati e laureati.

lunedì 1 dicembre 2008

MASSIMO LIVI BACCI: STAGE ALL'ETÀ GIUSTA E 20MILA EURO A OGNI 18ENNE PERCHÉ DIVENTI AUTONOMO

Massimo Livi Bacci, autore del libro Avanti giovani alla riscossa, è professore di Demografia, promotore del sito Neodemos.it e oggi anche senatore. Con la Repubblica degli Stagisti ha fatto il punto sulla situazione dei giovani italiani.
Professore, c'è chi dice che i laureati che escono oggi dall'università non sappiano niente e non siano in grado di produrre se non dopo una formazione "aggiuntiva" - spesso, appunto, lo stage. Questa critica è fondata? Davvero l'università non riesce più a rendere i giovani capaci di affrontare il mondo del lavoro?
C'è molta esagerazione e autoflagellazione in queste critiche. Il numero di laureati tra il 2000 e il 2007 è più che raddoppiato, da 140mila a 300mila: questa "democratizzazione", naturalmente, ha comportato diversi costi. L'offerta formativa si è diversificata oltre il giusto; la didattica si è frammentata in modo esagerato. Occorre sicuramente una riqualificazione, un diverso modo di percorrere - con passo cadenzato sulla durata legale dei corsi - il ciclo formativo. Ma il laureato "medio" è, probabilmente, non molto diverso dal laureato medio di dieci anni fa.
Nel suo libro lei afferma che in Italia «si può essere apprendisti in senso tecnico-giuridico fino a trent’anni, distorcendo il significato di un termine che indicava, per un ragazzo non ancora uomo, la fase dell’apprendimento artigianale a bottega». Questo ragionamento si può applicare anche agli stage?
Il paragone calza: come l'apprendistato, anche lo stage deve essere fatto al momento e all'età giusta, e non deve diventare una forma surrettizia di lavoro dipendente gratuito o semi gratuito offerto anche a trentenni! Quello che manca però in Italia è la propensione a mescolare le esperienze di studio con esperienze di lavoro, cosa che invece accade in altri Paesi d'Europa.
A quale età - o dopo quanto tempo dalla fine degli studi - un giovane dovrebbe dire STOP agli stage, e accettare solo offerte di lavoro "vere"?
Difficile dirlo. Un giovane che avesse completato il ciclo triennale in tempo, a 22 anni, potrebbe dedicare i successivi 2-3 anni ad esperienze varie: viaggi, stage, lavori a termine per “esplorare” il mondo circostante - ma poi credo sia tempo di cercar lavoro. Altro discorso è per chi si laureasse a 27 o 28 anni...
A livello normativo, gli stage possono essere non pagati e possono durare anche fino a 24 mesi. La legge andrebbe rivista?
Penso proprio di sì.
Lei ha presentato qualche mese fa un disegno di legge che prevede di dotare ogni italiano di un piccolo capitale al compimento della maggiore età, per «incentivare il conseguimento dell’autonomia finanziaria da parte dei giovani». Quali sono i punti-cardine di questa proposta? In quali Paesi si utilizza questo metodo?
La proposta consiste in un contributo pubblico annuale ("fondo"), intestato ad ogni nuovo nato. Al compimento dei 18 anni il fondo – pari a un po' più di 20mila euro - entra nelle disponibilità del giovane: se questi intende avviare un'attività professionale, imprenditoriale, completare la formazione ecc., il fondo può essere integrato da un prestito garantito dallo Stato (prestito di autonomia). Tre sono gli obbiettivi: 1) sostenere i giovani nella ricerca dell'autonomia; 2) sollevare i genitori dall'ansia e dai costi che la dipendenza del giovane oramai adulto determina; 3) se l'autonomia viene raggiunta prima, anche le scelte di vita vengono accelerate - e tra di esse unione e riproduzione, oggi sempre più schiacciate verso i 35-40 anni e causa non ultima della bassa natalità.
Qualcosa di analogo accade in Inghilterra; negli Stati Uniti, invece, è molto diffuso il sistema del "prestito d'onore" con le banche. Purtroppo però il ddl non è stato ancora calendarizzato, e giace nella polvere dei cassetti della Commissione Lavoro.