Un paio di giorni fa sono andata alla presentazione del libro "Precari e contenti" di Angela Padrone, alla libreria Egea di via Bocconi, qui a Milano. Una sfilza di relatori: Michele Tiraboschi e Stefano Liebman docenti di Diritto del lavoro (il primo all'università di Modena, il secondo alla Bocconi), gli autori del libro "Generazione 1000 euro" Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa, il giornalista del Corriere della Sera Massimo Sideri che faceva da "moderatore". Per fare il punto sul tema della flessibilità (e del precariato): un'opportunità o una condanna?
Purtroppo il tempo si è sbriciolato alla velocità della luce, e a me sono rimaste in tasca molte domande.
Per esempio, Alessandro Rimassa ha denunciato la "falsità" di molti contratti a progetto, che di progettuale hanno ben poco (se non i vantaggi fiscali per il datore di lavoro) e che più spesso che mai si risolvono in mero lavoro d'ufficio dalle 9 alle 19, come qualsiasi altro impiegato. E io avrei voluto chiedere: ma perchè non si investe in controlli? Perchè le aziende che mentono sui contratti a progetto non vengono stanate e sanzionate? Perchè lo Stato non si impegna su questo fronte, per tutelare i suoi lavoratori più deboli?
Poi, il mio argomento prediletto: gli stage. Sideri l'ha detto chiaro e tondo: l'anomalia italiana è che spesso sono gratuiti, mentre nel resto del mondo vengono adeguatamente retribuiti.
...Anche se poi Angela Padrone se n'è venuta fuori, verso la fine, con una frase provocatoria: «Gli stagisti sono pagati poco? Macché. Appena uscita dall'università avrei pagato io, per avere l'opportunità di fare uno stage in una redazione».
Certo, lo sappiamo tutti, è come dire «Pagherei per uscire con George Clooney». Si sa che è una frase ad effetto, ma che poi nessuna (o quasi) metterebbe davvero mano al portafoglio: nessuna lo considererebbe giusto. Ok, era una boutade.
Ma a me è rimasto in gola un magone: davvero c'è gente che pensa che per un 25-30enne, quasi sempre con laurea e certe volte addirittura master alle spalle, uno stage gratuito o sottopagato (che spesso si moltiplica in due, tre, quattro) sia un'OPPORTUNITA'?? Mi sembra un tantino retorico.
giovedì 18 ottobre 2007
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7 commenti:
il problema non è che lo stage non sia un'opportunità. In effetti lo è: a me ha permesso di mettere piede in redazioni nelle quali non sarei potuta entrare altrimenti.
il problema è che, invece di restare un punto di partenza, lo stage diventa un fine. una fine. la fine della possibilità di crescere e guadagnare in relazione alla propria esperienza. lo stage, a mio parere, dovrebbe essere prerogativa dell'università o delle scuole di perfezionamento. non uno strumento di cui le aziende si approfittano per pagare meno, o non pagare, la manovalanza.
m.adele
Lo sapete che rispetto ad altri paesi europei abbiamo la solita maglia nera perché i nostri giovani fanno pochi stage nelle aziende?
A proposito, non è una boutade dire che in passato la gente avrebbe pagato pur di mettere piede in un'azienda dove poteva imparare il lavoro dei suoi sogni...
Io ho fatto uno dei primi stage, quando ancora in Italia era uno strumento nuovo, e solo grazie a questo sono entrata al Messaggero. Se no col cavolo che sarei mai entrata. Ovvio, insieme a me anche altri fecero degli stage, ma non è che furono assunti tutti: parliamo di 20 anni fa.
Ultima cosa: voi dite "sono laureato, ho "addirittura" un master...ecc" Addirittura? Ma ragazzi, questo è il minimo. Bisogna vedere "che" laurea, in quale università, cosa altro si sa fare... Poi anche tra i laureati ci sono tanti che sono presuntutosi, ignoranti, non si mettono in sintonia con chi hanno di fronte. Oppure sono troppo sognatori, poco pratici. Dopo la laurea, il master, ecc bisogna ancora dimostrare tutto. Non si finisce mai di dover dimostrare di valere qualcosa. Chi smette, a qualunque età, è finito. Il mondo del lavoro è sempre stato complicato, queste non sono mica novità. Scusate, comincio a parlare come una vecchia zia :-( però devo dirlo: avete di fronte un mercato del lavoro difficile, sì, non lo conquisterete lamentandovi e pretendendo, ma solo dimostrando di essere meglio di qualcun altro
Sostanzialmente Angela e Maria Adele partono dallo stesso assunto: "senza lo stage non sarei mai riuscita ad entrare in una redazione giornalistica, quindi per me è stato uno strumento utile".
Impossibile dar loro torto: il giornalismo è uno di quei settori in cui, lo dico sempre, lo stage è diventato "obbligatorio". Con lo stage si mette un piede in redazione, e poi con il lavoro, la prontezza, la capacità e la bravura si può tentare di lasciarcelo - e magari di spostarci piano piano anche la gamba, il tronco e infine pure occupare col sedere una comoda sedia.
Però, Angela, ti voglio ricordare che "ai tuoi tempi" (aiuto sembro una nipote ;-)!!) le scuole di giornalismo in pratica non esistevano (oggi ce ne sono una ventina), e in ogni redazione giornalistica potevano transitare, dico una cifra a caso, 2 o 3 stagisti all'anno. Oggi le redazioni giornalistiche NE SONO PIENE. Tanto che alcuni giornali, meno corretti di altri, li "usano" per evitare di fare contratti di sostituzione estiva.
Due anni fa ci fu un caso eclatante: a fine maggio il cdr di uno dei più importanti quotidiani nazionali disse "Rifiutiamo di accettare stagisti in redazione quest'estate". Una trentina di giovani allievi delle scuole di giornalismo di tutta Italia se la prese in quel posto: quelli dovettero cercarsi in fretta e furia una sistemazione in altre testate per non perdere lo stage estivo. La testata invece fu "costretta" a fare, se non ricordo male, 18 contratti di sostituzione estiva ad altrettanti giornalisti professionisti. Da pagare 1200-1300 euro al mese, contro gli ZERO EURO degli stagisti.
Morale della favola? Quell'importante quotidiano (non la Gazzetta di Tambre D'Alpago, nota bene) evidentemente aveva usato per anni gli stagisti AL POSTO dei giornalisti già professionisti. Questo non vuol dire che li considerava già "in grado di fare i giornalisti"??
E' questo il punto, Angela. Tu giustamente dici che "non si finisce mai di dover dimostrare di valere qualcosa". Ma dai per scontato che gli stagisti non sappiano fare i mestieri che sono chiamati a fare. Invece io ti dico: guarda bene. Possono essere magari meno esperti di quelli che han 20 anni di professione sulle spalle. Ma quei mestieri - il giornalista, il pubblicitario, l'ufficio stampa, l'architetto e chi più ne ha più ne metta - LI SANNO GIA' FARE. Possono migliorare, certo. Possono imparare sempre, giorno dopo giorno. Ma quei cavolo di mestieri, in sostanza, li sanno fare. Eppure non vengono pagati per il loro lavoro, perchè si fa FINTA che in realtà loro lì stiano solo imparando, e non producendo. Invece producono, eccome se producono. Restando al giornalismo, basta vedere come scrivono, quanto scrivono: certe volte li si trova in PRIMA PAGINA, e credo che questo valga da solo a spiegare che sono già capaci. Solo che non vengono pagati.
Quindi, alla fin fine, sono d'accordo con Maria Adele: gli stage dovrebbero essere prerogativa dell'università o delle scuole di perfezionamento. Al di fuori di quelle, OK gli stage, ma ADEGUATAMENTE RETRIBUITI. Basta con gli stage gratuiti o con rimborsi-spesa ridicoli. Specialmente se poi gli stagisti dopo un paio di settimane sono perfettamente in grado di fare lo stesso lavoro degli altri dell'ufficio o della redazione. Manodopera superqualificata a costo zero, o quasi: no grazie. Troppo facile per le aziende, troppo ingiusto per i giovani.
non capisco perché, nonappena si apre il dibattito sugli stage, ci si debba sentir dire che siamo dei brontoloni. dal punto di vista lavorativo non mi è stato mai regalato niente e non mi sento rappresentata dal sindacato. devo stare zitta e ringraziare se non vedrò un contratto nei prossimi sei anni? proprio perché sono meglio di qualcun altro, e lo sto dimostrando nel lavoro, credo di aver diritto a rivendicare trattamenti più dignitosi.
@mimi
vi si dice che siete dei brontoloni perchè "siete" dei brontoloni.
@angela
totalmente solidali con te.
:-)
Un abbraccio.
Non ho molto di cui lamentarmi per la mia avventura - stage. Ho "lavorato" 4 mesi in un quotidiano locale con cui collaboravo in precedenza, e il mio impegno è stato "quasi" regolarmente retribuito: mi sono ripagata il primo anno di master e la collaborazione prosegue nei limiti concessi dai mille impegni contemporanei.
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